AMARGINE

Mina mena! – Classifica Generation, episodio XVIII

«Io non capisco là fuori
Io non capisco l’industria
Io non capisco il banchiere
Io non capisco se il disco è come tu lo volevi
Io non capisco ci credi?
Io non capisco mi segui?
Io non capisco ti vedi?»
(Cosa avevi capito?, FF)

A quanto pare, sono stato chiuso un mese.
Chiuso in me stesso! Chiuso nella mia gabbia adorata, chiuso come una testuggine testona, per crescere, per capire come darvi di più, come compiacervi – giacché l’ultima volta mi avete messo solo 19 like, branco di farabutti versipelle. Oddio, non che mi cambi molto, 19 o 91, tanto l’Amministratore Delegato di aMargine sono io e sono un amministratore illuminato. Davvero. A costo di puntarmi in faccia i fari. Non mi pago certo in base ai like (essendo un po’ il mio fiore all’occhiello), laonde mi sono concesso un mese di pausa. Poi mi sono invitato a pranzo e mi sono detto: “Può anche darsi che il pubblico in questo momento non senta necessità delle tue vibranti analisi”. E mi sono risposto, piccato: “Ma se è così, cosa vogliono? Che indichi il nuovo su cui precipitarsi per poter accusare gli altri di essere vecchi? Che scriva titoli gratuitamente volgari come il Miserocefalo? Che scriva pezzi più corti perché non hanno tempo, devono andare a fare le battute e i meme? Che scavi loculi nelle nicchie? Che mi metta a sarabandare di supporti, di tecnologia? Potrei farlo, a me interessa anche”.

Ma chi lo sa in fondo cosa è interessante oggi, no? Siamo così tanti, a scrivere, e siamo così tanti a commentare (…non ho detto a leggere) e appena metti fuori la testa vieni assalito da tutti questi scriventi, tanti illeggibili, tanti imperdibili. Ah, che epoca mirabolante, voi vorreste forse viverne un’altra? Vi dirò, io per nulla al mondo. Voglio vedere questa come va a finire. Avete letto per caso una delle tante interviste a Virginia Vallejo, la giornalista amante di Pablo Escobar? Lui era un assassino criminale che dovrebbe stare in galera pure da morto, però la riempiva di gioielli e vestiti firmati, però la stuprava e menava, però si sono incontrati duecentoventi volte (però, che memoria), però «Se non lo avessi incontrato oggi sarei una di quelle vecchie giornaliste che girano per Miami e sono acide con le giovani». E Marta Serafini del Corriere le chiede come abbia potuto farsi sopraffare e umiliare così a lungo. Lei risponde che voleva «vedere come sarebbe andata a finire questa storia».
Capite, è l’elevazione della barzelletta di Pasquale a stile di vita.
(gosh, scusate lo spoiler se non sapevate la Barzelletta di Pasquale)
Ma non siete così anche voi? Non siete curiosi di sapere come va a finire?
Per fare un esempio, i dischi che si vendono OGGI. Quest’anno, la FIMI non ha comunicato nulla sul volume di affari della discografia italiana. Lo aveva sempre fatto. Anche solo per dire “Ehilà gente, c’è più streaming, c’è meno streaming, più cd, meno cd, più acqua, meno acqua”. Che non abbiano finito di contare? Forse tutto dipende da una persona che mentre noi siamo qui, sta contando gli streaming a mano, a uno a uno, di casa in casa.
Così io cucino coi dati che ho. Che mi dicono che nel 2018 nessuno ha tenuto il n.1 più di una settimana eccetto Sfera Ebbasta. Abbiamo avuto, su 13 settimane, 10 album diversi in testa (è l’anno più instabile del decennio) e parlo anche di pesci grossi: Laura Pausini, Benji & Fede, Ermal Meta. E adesso Mina, che peraltro non andava al n.1 da undici anni.
Tutti regni durati sette giorni.
Cosa vorrà dire?
(ah già, dovrei dirvelo io)

Intanto, che ci sono state più uscite importanti, perché è meno importante uscire a ridosso di Natale, e più proficuo uscire nei primi mesi dell’anno a ridosso dei tour. E vedrete quando anche da noi lanceranno il bundle biglietto+cd che negli Usa ha riportato ai primi posti gli album del 2016 di Bon Jovi e Metallica.
Poi, ho la minuta sensazione che alla fine, nell’ennesimo riparametramento cd-streaming, il secondo non sia divenuto così preponderante come pensavamo. Abbiamo avuto tanti rapper al n.1, ma i rapper e ora i trapper sono anni che vendono anche in Italia un bel po’ di cd (“formato fisico”, come dicono quelli di cui potete fidarvi).
Prendiamo la classifica di questa settimana. Mina n.1, seguita da Laura Pausini con tutto il suo corpo diplomatico. Al n.3 entra Vegas Jones, un altro virgulto di Cinisello Balsamo (che evidentemente sta mettendo a frutto la sua modernissima Biblioteca Pertini). Dal 23 al 29 marzo il suonatore Jones ha presenziato in 14 megastore diversi, per esempio il pomeriggio del 25 era sia alla Feltrinelli di Genova che in quella di Torino.
(non contemporaneamente. La prima alle 14, la seconda alle 18)
Al n.4 debutta L’amore e la violenza vol. 2 dei Baustelle, che si sono fatti Genova-Torino il giorno prima di Jones, e la combo Bologna-Firenze il giorno dopo.
Al n.5 entra invece Mezzosangue, che è il primo di quelli che non hanno fatto firmacopie, e aggiungiamo pure che non ha una major dietro – quindi per quanto io sia abbastanza sicuro che i suoi cd li stia vendendo, non credo di sbilanciarmi troppo se dico che di tutta la top 10 è quello che conta di più sulla performance con lo streaming.

Cosa voglio dire con questo? Niente di particolare! In realtà, era solo per confondervi con un po’ di informazioni per glissare sul disco di Mina. Ritengo sia la prima volta che non ascolto un disco che va al n.1 in Italia. Bene, lo so che non è professionale
(ma come mi ricorda il direttore di aMargine sto scrivendo agratis, cosa che non è professionale nemmeno lei)
ma non mi interessa proprio il 74mo album della Signora, forse il 50mo che vede alla direzione artistica Massimiliano Pani, uno che non faccio per dire, ma da quando aveva 16 anni scrive canzoni per Mina, più bigliettodavisita di così. 
(non sapevo invece che Pani fosse così ricercato, oltre che da Mina, da Rai e Mediaset per le musiche delle fiction) (sostanzialmente fa musiche per Mina e per le telenovele italiane) (…vedete già, lì dietro quel muro, il collegamento simbolico in agguato, vero?) (no, meglio fare un passo indietro)
Mi scuso anche coi suoi autori, so che è per questa presunzione che perdo le elezioni, ma c’è troppa roba da ascoltare per sentire ancora un’interprete che conosco – diciamo così – un po’ bene,  e della quale sono pure riuscito, per motivi anagrafici, a vedere gli ultimissimi anni di immagine pubblica (correndo poi a rivedere gli anni precedenti nelle teche Rai, e a leggere le folgoranti interviste raccolte in Mina Talk di Ferdinando Fratarcangeli). L’album Maeba ha preso buone recensioni, e io mi fido. Poi, metteteci che Pani è andato da Fazio, che a ‘sto giro un sacco di critici sono stati invitati a Lugano nel caveau della Signora; che è sbarcata su Twitter, che è testimonial vocale TIM e non mi meraviglierei che su TIMMusic andasse fortissimo. Quindi insomma, la peraltro schiva Laura Pausini si sarà fatta una ragione dell’aver ceduto il trono alla Storia della Canzone Italiana.
(LOL, sono sicuro di no invece, me la immagino blu dal fastidio)

Resto della top 10. Scende al n.6 Tedua, ex n.2 ma anche n.1, scende al n.7 l’altro Cinisellese (o Cinese, da Ciny) Sfera Ebbasta, album più longevo tra i primi dieci con tutto che è uscito solo a gennaio, per ribadire la vorticosità di cui vi dicevo prima. Scendono al n.8 Benji & Fede, che forse avevano fatto meglio nel 2016 (sta a vedere che ormai bastano due anni per il ricambio generazionale). Al n.9 Ultimo, al n.10 Ermal Meta.
Toh, tutti italiani.
Ah no, giusto: Mina è cittadina svizzera.

Altri argomenti di conversazione. Nel gennaio 2017 il vol.1 di L’amore e la violenza dei Baustelle aveva debuttato al n.2. Ed Sheeran è uscito dalla top 10. Così come Max Nek & Renga, e Oi Vita di Jovanotti e il n.1 Usa, XXXTentacion (n.15). Entra al n.32 Boarding house reach di Jack White. Un po’ meglio dei Led Zeppelin (How the west was won, n.39, uscito nel 2003. Pensavo prima) e di Edoardo Bennato (Burattino senza fili, uscito nel 1977. Pensavo dopo). Dopo due settimane è già uscito di classifica American utopia di David Byrne. Ah, se solo lo avesse chiamato My life in the bush of the ghosts vol.2. La nonna della classifica è sempre The best di TZN Ferro, n.51, uscito 174 settimane fa; lo segue a rispettosa distanza Hellvisback di Salmo, con 112 settimane in top 100, attualmente n.59. Non è più tra noi invece A head full of dreams dei Colpdlay, usciti dopo 116 settimane. E a proposito di gente che non è più tra noi:

Miglior vita. Soltanto sette album di artisti o gruppi guidati da artisti che hanno abbandonato questa valle di Selvaggia Lucarelli. Li guida Giorgio Gaber, il cui Le donne di ora è entrato al n.16. Però ho come la sensazione che i cari estinti in classifica siano meno vivaci di un tempo. Anzi, se devo dirla tutta mi sa che il 2016 oltre a un centinaio di rockstar ha ucciso pure questo comparto. Ma non ha certo ucciso i

Pinfloi. The dark side of the moon beccheggia al n.34, tra Francesca Michielin e Dua Lipa. The wall scende dal n.47 al n.54, perdendo l’occasione di superare Lo Stato Sociale (n.50). Ma la buona notizia è che Wish you were here scende al n.83 – ci dev’essere disaffezione in giro, persino Hauauìsc, il giovane che abita sopra di me, l’altro giorno NON stava suonando o sentendo Wish you were here: ha preso consapevolezza della palpitante contemporaneità, lo deduco dal fatto che ho riconosciuto ciò che stava sentendo, era l’ultimo di David Gilmour.

3 Risposte a “Mina mena! – Classifica Generation, episodio XVIII”

  1. Bentornato.
    Mi permetto di commentare l’inizio dell’ articolo scrivendo che preferisco i tuoi interventi in cui analizzi e confronti i dati di vendita con la presenza degli artisti su radio o altri mezzi di comunicazione .
    Magari potresti farlo per la televisione che mi sembra (e sottolineo molto mi sembra) sia particolarmente distaccata da classifica di vendita e presenza ai concerti preferendo invitare artisti rassicuranti

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