AMARGINE

La fine penosa di quello che alcuni chiamano musica – TheClassifica, episodio 16/2021

Vi parlerò di questa nostra epoca. Oh, sì. Ascoltatemi! In questo periodo dell’anno, soprattutto quest’anno, per andare al n.1 della classifica dei presunti album bastano tremila copie tra cd e vinili, forse anche meno. Con ciò non voglio dire che se l’è comprate tutte la maison Gucci perché i giornali, al modico prezzo di 45mila euro, scrivessero che finalmente, e dai e dai, dopo otto album il suo testimonial presso la vibrante gioventù ITALIANA è


Il Numero Uno. Lauro De Marinis in arte Achille Lauro ci permette di salutare il 14mo cambio di governo in 14 settimane. Non era mai successo; nessuno ha riconquistato il primato dopo averlo perso quest’anno, e anche questo ci dice quanto funzioni bene il meccanismo di entente cordiale con cui le tre multinazionali gestiscono le uscite in modo da non pestarsi i piedini. Ogni Nuova Uscita blandamente sostenuta da una major va puntualmente in vetta alla classifica dei presunti album. Però il pezzo di Lauro piazzatosi meglio nella classifica dei singoli è Marilù, con un trionfale n.83. E questo, sarete d’accordo, certifica che il primato tra gli album è conferito soprattutto da dischi di plastica col buco, sui quali le classifiche FIMI sono sbilanciate – e forse giustamente, perché da lì provengono ancora un po’ di proventi. Però prima di denunciare che una esigua minoranza di Lauriani ha preso il potere grazie ai vecchi supporti, chiariamo che anche nel mondo palpitante e contemporaneo dello streaming non è un periodo di maggioranze passionali. Guardando gli ascolti su Spotify, il player principale nell’ambito digitale, un calo di ascolti nella top 50 è evidente. Non so se sottintenda un calo negli ascolti in generale, forse no (inutile chiedere: tanto, ci raccontano quello che vogliono). Sarebbe comunque a sua volta giustificato dalle poche, prudentissime uscite degli artisti che in Italia come all’estero non vogliono rischiare le docce scozzesi che stanno capitando a parecchi colleghi famosi. Questa situazione è oggettivamente anomala, ma non saprei dire se davvero all’arrivo del #liberitutti tanto agognato, tutto tornerà come prima. Perché nel frattempo, qualcosa sarà cambiato, e l’astronomia della musica avrà cambiato fisionomia. Io non sono del tutto convinto che i big di prima torneranno facilmente a riscuotere il loro dazio in termini di copie e biglietti venduti. Poi, non so nemmeno se riusciranno a riscuotere qualcosa quelli che di colpo si stanno godendo i mille red carpet stesi dai mille media tappetari. Penso che per farsi un’idea di chi ci piacerà in futuro sarà bene tener d’occhio, oltre a Spotify e Sanremo e Maria, anche Amazon e Netflix, cioè le voci del POPOLO. D’altronde se sono in grado di far passare Pintus per comico, sapranno anche far decollare Myss Keta e Anastasio.
E questo è tutto quello che ho da dire su Achille Lauro.
(a voi sembrerà che non ne abbia realmente parlato) (invece sì)
(che poi, sinceramente, qualcuna delle canzoncine che Lauro latra non mi spiace nemmeno) (però è così evidente e penosa, la burattinata messa in piedi per darla a bere a noi e alla critica tranciosa, per di più azzardando paragoni leggendari con personaggi davanti ai quali il lungo Lauro ha la stessa statura artistica di uno scarafone) (comunque, è facile per me fare il sentenzioso: mica rischio di perdere tutti i soldi delle inserzioni di Gucci) (perciò lasciamo perdere e veniamo invece a)

Il Numero Uno Della Settimana Scorsa. Cosimo Fini in arte Gué Pequeno era andato al n.1 per l’ennesima volta con Fastlife 4, condiviso con DJ Harsh. Ora come ora è al n.2, e nella seconda settimana dall’uscita non ha nemmeno un singolo in top ten, anche se i suoi featuring si chiamano Marracash, Salmo, Lazza, Luché, Gemitaiz, Noyz Narcos. Non c’è dubbio che Fastlife 4 sia indirizzato ai fan del rap anni ’10 (un po’ mi emoziona usare l’espressione “anni 10”, è la prima volta. Come vi suona?), e soprattutto a quei suoi fan che erano rimasti disorientati dalle parti più intime e sofferte del recente Mr. Fini. Eppure, qualcosa nel meccanismo sta sfuggendo persino a Gué, se non riesce a scalfire l’egemonia televisiva espressa dalla top ten dei


Sedicenti singoli. A più di due mesi dalla sua conclusione, Sanremo, la divinità mostruosa e immortale, continua a occupare i sogni carezzevoli di questa nazione di stupratori. Il regno sanguinario dell’edizione 2021, forte di 2022 concorrenti, è perpetuato da ben cinque tra le dieci canzoni più ascoltate ancor oggi dai succubi dell’alleanza tra la kermesse e Spotify. Bisogna tornare agli anni 50 per rivedere un simile, furioso e LUNGO predominio sanremese: al n.1 c’è ancora il manifesto della Musicaleggerissima di Nécarne & Népesce, al n.2 la Voce di Madama, al n.5 La genesi del tuo colore di Irama, al n.7 Fedez e Michielin, al n.8 i vincitori Maneskin. E anche altri sanremisti sono in top 20 (Annalisa, Coma_Cose, Fasma & GG) – e tuttavia, guarda un po’, la compilation Sanremo 2021 scende dal n.47 al 52. Capite che allora c’è una strana logica dietro le classifiche attuali e il loro modo di dipingerci il mercato. Oh, non dico che una logica non ci sia. So che c’è, la vedo. Ma in questo momento contingente ha l’aria confusa e barcolla come quei fuorisede costretti a disintossicarsi per il rientro forzato nella casa dei genitori (più che altro per non creare troppe tentazioni a questi ultimi tenendo roba in casa).
In compenso, a Sanremo si oppone Mediaset, coi rapper amici di Maria: Sangiovanni con l’irritante Lady è al n.3, Aka 7even con la fastidiosa Mi manchi è al n.4.
Ma in generale, la classifica dei singoli (incredibilmente) è irrigidita tanto quanto quella degli album (incredibilmente) è fluida e mercuriale: la più alta nuova entrata è al n.27 (un qualche pezzo di Rkomi con Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti). Il pezzo più recente in top 10 è anche l’unico non ITALIANO, ed è Montero di Lil Nas X, uscito più di un mese fa (n.10).
Anche in questo caso, sta succedendo qualcosa di mai visto prima. Come se alla fine chi ascolta musica fosse in una fase di rigetto per la manfrina delle Nuove Uscite, delle canzoni-meme, degli artisti da posizionare secondo le tendenze del marketing, della gara dell’hype con i propri conoscenti saccenti, delle canzoni composte pensando agli hashtag e ai brand da ingraziarsi, e con le basine brutte e insulse escogitate coi telefonetti dai PRODUCERS ReMida che col loro sapiente tocco trasformano il letame in guano. Poi, l’effetto solo apparentemente paradossale (ma che a ben guardare accade anche in altri ambiti, magari anche il vostro) è che quelli a cui piace la musica, un po’ come quelli che un tempo speravano davvero nella politica, se ne vanno, lasciando il campo a quelli che la musica la schifano ma idolatrano le frasette, le mossette, i personaggetti – nella speranza, un giorno, di eleggerli.
Forse è solo momentaneo, certo. Ma forse no. Io rimango qui a vedere, come disse Plinio il Vecchio davanti al Vesuvio. Torniamo agli album e al

Resto della top ten. Dei primi due vi ho già detto, al n.3 ci sono i Maneskin (Sanremo!) al n.4 Madame (Sanremo!), al n.5 entrano i Coma_Cose (Sanremo!) con il loro album lungo 20 minuti, si vede che non avevano molto altro da dire oltre al titolo Nostralgia (…lo vivo come un omaggio a Malinconoia di Marco Masini). Debutto al n.6 per Greta Van Fleet, ho sentito dire che è insospettabilmente buono, però sapete com’è: mi freghi una volta, vergogna per te; mi freghi due volte, vergogna per me. La quota rap è tenuta su da altri tre precedenti numeri uno: Capo Plaza (uscito tre mesi fa, n.7, è il disco da più tempo in top ten), Mace (n.8) e Massimo Pericolo (n.10). In mezzo a loro, Emanuele Aloia con Sindrome di Stendhal. L’album contiene L’Urlo di Munch e Notte stellata e Il bacio di Klimt e La Monna Lisa e Girasoli. Però ci ha messo anche Schopenhauer e Romeo & Giulietta, si vede che porta Filosofia e Letteratura Straniera come complementari. Buon per lui. Per altri


Non benissimo. Come tanti altri artisti che si erano fatti valere prima del crollo delle ideologie musicali e delle loro generose utopie, anche Max Gazzé dopo aver debuttato al n.4 (grazie ai suoi abbonati, che hanno comprato il cd la prima settimana), tracolla fuori dalla top 50 – appena fuori, al n.53. Esce di classifica dopo due settimane Neffa, e dopo 6 settimane si arrende anche la nuova versione dell’album featuroso di Francesca Michielin: il cambiamento delle modalità di ascolto sta castigando con ferocia darwiniana molti artisti di peso con dischi in qualche caso anche molto curati (Malika Ayane, o Ghemon, o Noemi che pure aveva dalla sua Dardust, il più grande PRODUCER mondiale) – ma non se la passa meglio l’ex n.1 Ermal Meta andato sotto il n.100 nel giro di un mese. E dei dischi di Max Pezzali e Negramaro e Claudio Baglioni non avete più sentito parlare, vero? Mi sbilancio: è un’epoca che se ne va, e non basterà RadioItalia a tenerla viva. Per fortuna, qualcosa ci unisce tutti, ed è il disprezzo per quegli stranieri che si ostinano a non essere ITALIANI: bisogna meritarselo. State acquistando esclusivamente detersivi e schiume da barba con una bandierina tricolore? State mangiando eccellenze del territorio? Bene. Grazie a voi, Taylor Swift n.1 in USA, non riesce a fare breccia con la sua arroganza di bovara, e scende dal n.12 all’81, mentre esce di classifica, dopo due settimane, Demi Lovato. Che voi direte: avessi detto, e io vi dirò che dite bene, ma dicendovi anche n.2 in USA e n.2 in Brexit. Detto questo eccoci nel reparto


Lungodegenti. Sono in classifica da più di due anni Fuori dall’hype dei Pinguini Tattici Nucleari, (107 settimane), l’unico album di Billie Eilish (108), Re Mida di Lazza (112), Post Punk di Gazzelle (125), Playlist live di Salmo (128), Diari aperti segreti svelati di Elisa (130), 20 di Capo Plaza (157), tutta la discografia di Ultimo, da Colpa delle favole (107) a Peter Pan (167) passando per Pianeti (164); meglio di lui solo l’aberrante Segnetto ÷ di Ed Sheeran, uscito 216 settimane fa e quindi a poche settimane dallo strappare con un atto di cruenta portata simbolica quel fatidico record di permanenza consecutiva ai


Pinfloi. The dark side of the moon, probabilmente in crisi di mezza età, dopo esser stato tanto affidabile con più di quattro anni di permanenza, di colpo si è messo a entrare e uscire di classifica senza dare spiegazioni; stavolta rientra, al n.85. Ora è The Wall che porta a casa la michetta, e si fa trovare stazionario al n.59. Ora dovrei salutarvi con il momento dei paragoni categorici ma non mi ricordo se ho già usato gli allenatori di calcio e ho già detto che The Dark Side Of The Moon è Massimiliano Allegri e The Wall è Andoniogonde. Perciò nel dubbio aggiungo che The Wall è Massimo Galli, The Dark Side Of The Moon è Matteo Bassetti.
Ovviamente Wish You Were Here è Roberto Burioni.
Grazie per aver letto fin qui. A presto.

2 Risposte a “La fine penosa di quello che alcuni chiamano musica – TheClassifica, episodio 16/2021”

  1. Caro Paolo, è la prima volta che lascio un commento, ma ti leggo da molto tempo ed è sempre un piacere. Vorrei farti una domanda, visto che ci avviciniamo all’infausta coronazione del famigerato Segnetto.
    Qualche settimana fa stavo guardando la tv con mio padre e siamo capitati davanti a Yesterday, un film in cui Sheeran interpreta sé stesso. Purtroppo mio padre, che si avvicina ai 70 anni, non aveva idea di chi fosse quel “roscio con la faccia da ebete” (cit.), e cercando un corrispettivo italiano adeguato per notorietà e insulsaggine gli ho detto “immagina che sia Biagio Antonacci”. La domanda è: avresti usato Biagio anche tu? Oppure mi sono fatto sfuggire qualcuno di più calzante? Lo so che è una cazzata ma sono sinceramente curioso.

    1. Beh, è una buona chiamata, ottima. Un Adagiobiagio più furbo, e con l’appoggio della macchina mediatica londinese, per la quale il pop da 60 anni è un’industria, e non uno svago. Tanto da indurre anche un regista che molto probabilmente non lo ama affatto a servirsi di lui pur di vendere il suo film nel mondo.

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