AMARGINE

Ferragosto, Fascismo e Fedez

«As our childrens echoes become lonely cries
The money and the power divide us
Cast aside, a guiding star lights the way».

(Clannad, Sirius)

Prendiamola un pochino larga. Più che Fedez, in questo periodo ad animare la polemica politica polimorfa è Jovanotti, nell’ennesima resa dei conti tra lui e quella parte di italiani adulti che ha ancora rimostranze da fargli.

…Nel 2022.

Troppo codomo. Qualcuno di voi c’era, quando Adriano Celentano (che ha precorso molti Jovanottismi, tanto che sua figlia Rosita, Dio la benedita, si fidanzò col Molleggiato Rap) si attirò tutto il fervore per aver affermato che eravamo tutti, prima di tutto, figli della foca? Nella Mia Umile Opinione, questa faccenda delle feste pazzesche nelle spiagge pazzesche con l’energia pazzesca che rispetta l’ambiente pazzesco ricorda tantissimo quel momento, con un divo che passata da un po’ la sua fase di fidanzato d’Italia, mette in piedi una colossale intrapresa che non poteva non attirare altrettanto fervore. Il tour di Lorenzo Cherubini nelle spiagge avrebbe potuto chiamarsi TOUR DELLA FOCA EHEHEHE (oppure Figli del Fratino) perché il suo vero livello di sensibilizzazione del pubblico nei confronti dell’ambiente vale quanto l’invito di Celentano a votare a favore di mamma foca. Ma intanto un tour che poteva rimanere confinato nella sua meganicchia come quelli dei colleghi Adult Oriented (MiticoVasco, MiticoLiga, e tutti gli altri big sempre bisognosi di bagni di folla) ha messo la testa fuori dalla routine dei sold out. E ha dato l’occasione – persino a questa rubrica – di dedicare due righe a Cherubini Lorenzo, e al suo attuale senzo.

Altre due righe. La cosa che più mi ha colpito l’ha scritta l’esimio Lorenzo Tondelli, maximo contributòr de Il Post (ma ammetto che non ricordo se l’ha scritta lì. Controllerò non appena i Poteri Forti mi ridaranno il wi-fi). Riassumendo con la rozzezza che mi pertiene, diceva: “Jovanotti sa, o dovrebbe sapere che è divisivo”. Lì, ho alzato gli occhi, pensoso, verso l’orizzonte. Mi scuso con Tondelli, che immagino sarà abbastanza basito dal sapersi citato qui, ma la mia pertinace stima nei suoi confronti e in quelli del suo periodare non è turbata dalla sua osservazione: la uso, viceversa, come rampa di lancio. Perché è il 2022, e OGNI personaggio che si rispetti è divisivo, ogni candidato, ogni cantante, ogni candidante di questo Paese che si pasce di elezioni e tormentoni. Mica penserete che Lazza, n.1 nella classifica dei presunti album sostanzialmente da quattro mesi, unisca gli italiani (“una razza unita da Lazza”). Ma quando mai: il 90% della gente che ascolta musica non ha mai ascoltato Sirio. E non parlo solo degli adulti, sarò anche un giornalista musicale ma non sono così scemo da darmi in pasto a questa obiezione. Là fuori è strapieno di ventenni e quindicenni che Sirio di Lazza NON lo hanno mai sentito, e non vedono motivo per farlo. Cionondimeno, Zzala sta lì, e non è nemmeno divisivo – non ha i numeri per esserlo, ma un po’ come Quello, è stato portato al potere dai suoi fedelissimi con l’appoggio di Re Spotify di Svezia, e nel suo bivacco di manipoli si bea di una classifica dalla quale sono stati fatti fuori i vecchi cantanti (“Yeeeh, gimme five!”, gioiscono i discografici, tutti Giovanotti e pieni di energia, EHEHE). Ma nella quale i dischi ipergiovani sono, ohibò, vecchi. Nel senso che sono usciti da tantissimo tempo. Ve li metto qui così vedete da voi.

Con i suoi 4 mesi e mezzo di stagnanza, Sirio di Lazza è pure uno dei più recenti tra quelli ascoltati dai presunti giovani. Non è solo perché “Vabbé, è estate, si sa che dopo Sanremo (…che è a febbraio) non viene pubblicato niente”. Gli album stranieri, se questo Paese autarchico li ascoltasse, escono. È qui da noi, che non entrano. Per fare un piccolo esempio, solo due settimane fa è uscito il disco di Beyoncé, la queen queenosa in persona: con il suo n.2 ha appena sfiorato Sirio di Lazza; dopo sette giorni è subito scesa al n.16 – una volta esaurita l’adorazione degli adoranti (…di haters non ne ha, e a quanto pare non è un bene. Se non sei divisivo, non sei più).

L’album in generale è un’idea vecchia. E complicata. Il Paese vuole due cose: fascismo e canzoncine. Circostanza che da un lato fa la fortuna di Sirio di Lazza, ma dall’altro è il suo limite: mi spiace per Zzala, che nel suo mugugnare malmostoso ha i suoi lampi (meno di quanti crede, comunque), ma Sirio non porta tutta questa luce. Gli porterà quella di altri dischi di platino, e con questi potrà schernirmi a crepapelle, e bullarsene sui social come tanti suoi colleghi. Viva lui, viva tutti, viva l’Italia.

(…Ok, ma in tutto questo?) (Fedez, il fascismo?)

(arriva adesso)

Di due cose vive la musica in Italia. No, davvero: finora ho pontificato (tipico), ma questo ve lo potete giocare nei commenti ai post e ai tweet degli amici: la musica italiana si basa sulle canzoncine di Sanremo e sulle canzoncine da spiaggia. È andata così, siamo tornati gloriosamente indietro, che era un po’ il miracolo italiano che sognavamo. Sì, lo so che voi in vacanza ascoltate i Joy Division (…anche quest’estate, sotto questo sole, rossi col fiatone, ho visto dei cinquantenni – e i loro bambini – con le magliette dei Joy Division e da sempre questa cosa mi fomenta senza posa) (“Guardatemi, voi che sapete: questa t-shirt rigata, qui, asserisce che io non sono come gli altri: a me l’amore mi fa a pezzi perché ho una sensibilità quasi suicida, specialmente qui in coda per il check-in dell’aeroporto di Orio al Serio”).

Leggo ovunque che Fedez ha realizzato (anche quest’anno) il tormentone da spiaggia perfetto, perché La Dolce Vita, che è numero unissimo da quando è apparsa (salvo la settimana promessa da Re Spotify al suo cocco Sferoso Famoso, che serve a giovanizzare il marketing) (giovanizzare, non jovanottizzare. Anche se il concetto dimostra che Claudio Cecchetto, anche con il nome, ci aveva preso, ché giovinezza è primavera di bellezza) ci ha come sempre gli ingredienti giusti. Ci sono i vestiti di Gucci, che ci tiene molto a indirizzare il pop italiano, ci sono due ipergiovani, il puccioso Tananai e la thasuprema Mara Sattei (due su tre, reduci da Sanremo: check). Ma gli opinionisti degni di fedez fanno notare, per forza di cose, che l’arma segreta della canzoncina di Federico Lucia è la nostalgia. È fascista, Fedez? Non credo proprio. Ma poi in fondo cosa ne so: a parte le macchiette (macchiatissime) alla ‘Gnazio La Russa, se non è aria, il sincero, autentico fascista si camuffa sempre. Non vi piacerà sentirlo dire ma Fedez è uno dei migliori del Parlamento attuale, e se non lo pensate io non posso far altro che ricordarvi – con le cattive, qui sotto nella classifica di Ferragosto – che nell’emiciclo ci sono Fred De Palma e Sferoso Famoso e i Boomdabash, zio cantante, in una top 10 delle boiate estive che si è sostanzialmente bloccata sul repeat dalla prima settimana di giugno: nessuno ascolti nient’altro, boia chi molla le boiate estive.

(trivia: Supermodel dei divisivi Maneskin, che nelle ultime due settimane ho sentito con queste orecchie in heavy rotation sulle radio francesi e tedesche, in Italia langue al n.66) (poi ai concerti ci va un sacco di gente ma ai ventimila maschi vestiti di nero su cui è tarato Spotify, non piacciono)

Fedez è certamente divisivo. E ammetto di non avere adeguata dimestichezza col sinistrometro e con chi lo gestisce, ma credo che tutti qui potremmo convenire che – molto chic, trés radical – lui NON sia fascista. Però ci sono cose, e nella musica italiana sono tantissime (forse per DNA nazionale) dal rock al pop al rap, che hanno appassionatamente, instancabilmente vellicato il fascismo italiano, tirando la volata al suo imminente giubileo – e Fedez e il suo ex, Ax, hanno dato il loro piccolo contributo quando bersagliavano i Comunisti col Rolex, vi ricordate? Quattro dischi di platino, ed erano ancora dischi, la gente – in età di voto – spendeva SOLDI per comprarli.

Non so quanti Rolex abbia Lazza. Spero che abbia tutti quelli che lo fanno felice. Non so quanti ne abbia Fedez, non so quanti Comunisti esistessero quando è uscito il disco, so che erano molti meno dei Fascisti, lo sono da decenni. Però so che Fedez non avrebbe mai citato, e men che meno irriso i Fascisti nel titolo di un album che voleva vendere veramente. Se per provocazione autolesionista lo avesse fatto, una delle tante cose che gli avrebbero detto alla Sony sarebbe stata “Ma i fascisti NON ESISTONO”. Che è una delle cose che questo Paese ha deliberatamente scelto di raccontare e raccontarsi – un po’ come il fatto che Sirio di Lazza sia l’album dell’anno.

Il fascismo c’è sempre stato in questo Stato. Se il divisivo mitomane di Predappio fosse stato fortunato come la celebrity spagnola Francisco Franco (che alla fine, sorpresa, era meno scemo di Mussolini) non sarebbe stato costretto a starsene camuffato per qualche decennio. Però alla fine non facciamo finta di non saperlo, c’è un filo felice che unisce Ziki Paki Ziki Pù e Shakerando di Rhove da Rho – e sul bagnasciuga è tutta una festa, ehehehe.

2 Risposte a “Ferragosto, Fascismo e Fedez”

  1. io ho sempre pensato che i comunisti col rolex fossero loro due, fedez e j-ax, in altre parole che il titolo fosse autoironico e rimarcasse che, ok, loro sono di sinistra e con i soldi, e quindi?

    1. Come lettura non è totalmente da scartare, ma come tante cose fatte dai due (anche da soli), l’ironia è sempre utile a sollevare un polverone dal quale uscire con l’aria dei più furbi di tutti, personalmente ho sempre pensato che invenzioncine come “Sono partito comunista, ma non ci sono arrivato” e “Bella ciao, bella ciao, bella ciaone” fossero più in linea con il cinquestellismo con cui i due hanno flirtato un bel po’.

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