AMARGINE

Skin e gli altri che soloinItalia. Una top 10 (mendace)

Come immagino sappiate, a X Factor è comparso, per bilanciare i milanesi Elio e Fedez (e Mara Maionchi, bolognese di nascita ma meneghinizzata dagli anni) un altro tocco di internazionalità accanto a Mika: il giudice al debutto è Skin degli Skunk Anansie. Accompagnata da anni dal commento velenosetto: “Che nessuno conosce fuori dall’Italia”. 
Non è così vero. Ma questo può aspettare. Il punto principale, secondo me, è la connotazione derisoria data a questa eventualità. Perché il suo primo presupposto è:

(primo presupposto) Che il popolo inglese e quello americano, di default, abbiano gusti migliori dei nostri.
Se ne siete convinti, ditelo pure: non vi mangio mica. Certo, sono tentato.
L’unica concessione che posso fare è che un tempo essi abbiano avuto maggiore consuetudine col linguaggio musicale del rock. Ma possiamo ancora dirlo, 60 anni dopo Elvis? Con tutta questa globalizzazione e contaminazione? Con tutta questa terminologia inglese usata in ogni angolo della penisola anche per bestemmiare? Vero, loro continuano a collocarsi al centro del mondo. Vero, ci vendono le loro perline e carabattole, e noi ci prostriamo adoranti davanti ai grandi déi occidentali. Ma sarebbe il caso di darci un taglio, amici. Anche all’interno di un’industria completamente dedicata e razionalizzata – dal processo compositivo alla distribuzione al giornalismo musicale, ben più collaborativo del nostro – da anni la musica degli alleati angloamericani batte in testa.
(…con questo non dico che la nostra sia in salute sbarazzina. Ma un po’ di autostima le farebbe bene. In passato le ha fatto bene)
Nelle due U, USA e UK, il gusto musicale sta andando a rane da un bel po’ di tempo, solo che loro sono così furbi – e sinergici, come si dice in queste lande – da nasconderlo. A se stessi, e soprattutto a noi sudditi. Best next things che escono dalle fottute pareti, e noi ci arrendiamo senza discutere, immancabilmente sicurissimi del fatto loro.

(secondo presupposto) Che il popolo italiano abbia dei gusti deteriori.
Di solito, come prove, si adducono Albano&Romina. Ma non farete molta fatica a scaraventarmi addosso qualche nome che considerate indifendibile, del quale magari vergognarsi per le fortune estere – o per essere la versione spaghettara di qualche fenomeno angloamericano (dai rapper a Giusy Ferreri).
Non la penso così. Come non penso che il nostro gusto per la musica sia migliore. Penso sia diverso. Faccenda che ha a che fare con molte cose, dal modo in cui la nostra lingua ci porta a parlare (anche se, yo, in modo sempre più diluito con fonemi foresti) al fatto che qui da noi la musica è stata considerata con un certo riguardo già in secoli in cui peraltro nasceva la maggior parte degli strumenti musicali che usiamo tutt’oggi – e che i nostri avi la declinavano in tante modalità già in epoche in cui quelli, al massimo, componevano marce di pompa e circostanza o facevano a chi picchiava più forte sui tamburi.

Ma in ogni caso, la differenza di dna sonoro era più evidente tanti anni fa, quando per esempio Genesis e King Crimson venivano apprezzati prima qui che in patria per semplice sintonia musicale (il boom americano di Invisible touch dei Genesis è un buon esempio di quanto ne capissimo più noi). Oggi tra la nostra sensibilità e quella degli stranieri più belli e più ricchi lo scarto è molto minore, e fenomeni come quelli del prog (o dell’ital-disco, volendo) sarebbero assai anomali. A fare la differenza dal punto di vista geografico non è più il genere, ma la lingua: banalmente, non passa il rap americano, vende tanto quello italiano.

Ciò detto, il pregiudizio musicale nei nostri stessi confronti è abbastanza scemo. Tanto che ora vi sottoporrò (lo so che aspettavate questo, ma vi dovevate pur beccare la mia filippica) un elenco di nomi dei quali si dice – e in certi casi è vero – che sono più al centro della mappa in Italia che nei paesi di lingua inglese. A voi decidere se fanno tutti schifo. Partiamo appunto da 

1. Skunk Anansie
Con Post orgasmic chill arrivarono al n.16 nel Regno Unito – e non è un brutto risultato, se pensate al gruppo ispido che era. Certo, da allora in poi, Londra li ha defashionizzati: Wonderlustre è andato al n.1 in Italia, n.12 in Olanda, n.9 in Polonia, n. 58 in UK. L’ultimo tour, quello di Black traffic, prevedeva una sola data a Londra, 3 in Italia, 5 in Germania. Quindi, sì, gli inglesi non li amano. Doesn’t make you right, oh no.
2. Placebo
In effetti sono piuttosto calunniati. All’inizio riscuotevano lo stesso tipo di successo ovunque (diciamo da top ten nella settimana dell’uscita del disco); con l’ultimo Loud like love sono andati bene in Europa continentale (n.2 da noi e in Austria, n.3 nei più consistenti mercati di Francia e Germania, n.1 in Svizzera. Aggiungiamo un n.9 in Australia, che è una scena particolarmente visibile per gli ex compagni di impero). Ma non sono entrati in top 10 nel Regno Unito (n.13). Di sicuro sono sempre andati malone in Usa.
3. Spandau Ballet
Forse una delle prime band accusate di convincere solo noi fessi. In realtà furono forse una meteora nel mondo anglofono, ma pur sempre una meteora di quelle grosse: l’album True (1983) andò al n.1 in patria (dove non mancava concorrenza), n.13 da noi, e registrò un commendevole n.19 nella land of the free, home of the brave. La tendenza si era già invertita, forse per mancanza di incisività ritmica, con il pur rispettabile Through the barricades, n.1 da noi, n.6 nel Regno, irreperibile oltreoceano. Il (di molto) successivo Heart like a sky fu notato (non molto) solo in Italia (n.9). Quanto al disco della reunion Once more (2009) è certificato come disco d’oro in Italia e disco d’argento nel Regno Unito. Però occhio: il nostro disco d’oro significa 25mila copie, il loro disco d’argento ne vale 60mila.
4. Rammstein
Un caso curioso di concordia, forse dovuto al fatto che per gli inglesi se non parli inglese sei un selvaggio spregevole, e per gli italiani, pure. Oddio, è pur vero che con il complessino qui, non stiamo parlando di gente ammodino. Sta di fatto che in questo secolo i loro dischi sono andati al n.1 (o ai numeri immediatamente successivi) in tutta Europa, e non solo nel mondo ostrogoto ma anche in Francia e Spagna. A tenerli a bada attorno al n.20 sono giusto Italia, Regno Unito e Stati Uniti (e a voler fare i precisi l’Ungheria, toh).
5. Ben Harper 
Abbastanza stimato sotto la Statua della Libertà, ma il suo management è sempre molto attento a tre Paesi in particolare: Francia, Italia, Australia, dove riscuote più credito. I dati per Give Till It’s Gone (2011) parlano di un n.15 in Usa e un n.2 in Italia. E’ molto possibile che alla dogana inglese impediscano l’ingresso ai suoi dischi, ivi compresi quelli che hanno vinto dei Grammy Awards.
6. Manu Chao
Quivi è un nome cospicuo, ma a guardare le vendite dell’ultimo disco non scherza niente nemmeno in Francia, Spagna, Belgio, Austria, Svizzera e financo Norvegia. Nella grande Babylon, si limitano a citarlo, a volte, nelle riviste musicali, e sicuramente misspellano il suo nome. Vedete, non canta in inglese, quindi non riceve attenzione nella coolissima, internazionalissima Londra, my dearies. Blimey!
7. Patti Smith
Nome storico del “soloinItalia”, a causa dei concerti negli stadi strapieni di Bologna e Firenze negli anni 70, per lei inarrivabili altrove. E tuttavia, per quanto la si leghi a un mondo underground e alternativo, Easter e Wave entrarono in top 20 in Usa e UK all’uscita. Gli ultimi dischi hanno ottenuto risultati decenti (top 20, sempre) solo in Italia, Norvegia e Svezia. Cionondimeno, non esistono solo le vendite degli album in questo mondo, che lei gira raccattando premi prestigiosi: Ordre des Arts et des Lettres dal ministero della cultura francese, Rock’n’roll Hall of Fame, National Book Award, Polar Music Prize, quelle robe lì.
8. Dream Theater
Un percorso piuttosto prog, non a caso. Inizialmente amatissimi in Italia e Finlandia, poi anche in Giappone e Germania; alla fine, e dai e dai, hanno fatto un po’ breccia anche in USA (n.7) e UK (n.15) con l’ultimo disco.
9. Cranberries
Veramente stravenduti ovunque al loro apparire, sono stati gradualmente accompagnati ai margini nel mondo anglosassone; il loro ultimo disco Roses, entrato in top ten in Italia (n.9), si è fermato al n.37 in Gran Bretagna.
10. Anastacia
Ah, questa non ve la aspettavate. Negli Stati Uniti non la prendono in considerazione se non al momento di pagare le tasse – su quel che guadagna qui in Europa (principalmente in Germania). Negli ultimi dieci anni, un quinto e un sesto posto in Italia, un nono e un diciassettesimo posto in UK.
11. (…lo avevo detto che era una top 10 mendace) Morcheeba
Non completamente ignorati in patria come si diceva un tempo, ma in effetti sempre un po’ meglio nelle classifiche di vendita italiane rispetto alla perfida Albione. Tranne gli ultimi dischi, che fanno schifo ecumenicamente qui e lassù. Gli è rimasta una fan base affezionata in Francia, che li ha sospinti generosamente al n.25. Ma di più non si poteva chiedere.

 

4 Risposte a “Skin e gli altri che soloinItalia. Una top 10 (mendace)”

  1. c’è un difetto di fondo nell’intero ragionamento [quello del paese, non il tuo]. i gusti degli americani sono gusti percepiti, quello che ci si immagina in Europa basandosi su quella parte di mercato che condividiamo. ma ci si dimentica spesso che qui l’80% della musica è country [che noi erroneamente identifichiamo con “sesso fra i covoni” e che in realtà potrebbe essere tranquillamente assimilata alla nostra “musica leggera”].

    molto molto semplicemente: biggest hype quest’anno legato ad un tour? Zac Brown Band e Brad Paisley. chi sono? appunto… è quando vado a vedere i Pearl Jam o Springsteen che pensan che io sia strano. non è mainstream, quello, è il mainstream immaginato

    ps: al bano e romina [il ballo del qua qua] qui spaccano. è la canzone che si canta e si balla ad OGNI matrimonio. mi chiedo se ci percepiscono la Siae

    1. Vero Cristiano, per questo negli USA c’è la classifica con o senza country. Resta il fatto che il successo internazionale segue ovunque vie misteriose: Vasco e Ligabue fuori dall’Italia vendono ben poco, Gianna Nannini ed Eros fanno sfracelli in Europa, la Pausini solo nei paesi di lingua spagnola. I tedeschi esportano i Rammstein, ma in patria domina roba soul e qualche cantautore. Gli inglesi, quelli sì, sono sempre stati bravi a far combaciare il successo in patria con il successo internazionale, ma come ha giustamente scritto Madeddu, da qualche anno hanno perso il tocco magico anche loro: le loro classifiche sono dominate da cascami di talent locali che non hanno nessuna chance oltre le bianche scogliere di Dover (volevo scriverlo, scusate…)

  2. ma nemmeno tanto misteriose… almeno in europa i mercati musicali sono impermeabili, e itunes o no, se una casa discografica decide di non promuovere un francese fuori dai confini [anche se è un grosso successo], noi nemmeno veniamo a sapere della sua esistenza.

    inoltre, anche chi scrive di musica non fa più ricerca. prima si andava alla casa del disco, da buscemi, capitava che ci trovavi un disco di Beck e poi se ne capivi qualche cosa ne scrivevi su repubblica. questa roba quando capita più? l’online ci ha dato solo mercati molto più controllabili. perché è vero che potenzialmente c’è tutto, ma se non sai che cosa cercare è come se non ci fosse nulla…

    [anni fa i Kanà, con Plantation, vendettero 700k copie, in italia non è mai arrivato manco il singolo. Patrice in Francia e Germania è un idolo, in Italia è passato mai in qualche radio mainstream? cosa c’è dietro quella scelta?]

    1. Forse il fatto che per ogni singola casa discografica del mondo la sede europea sia Londra è un po’ decisivo, ma tanto noi giornalisti sappiamo solo l’inglese e ci piace andare a Londra, quindi non abbiamo niente da ridire.

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