AMARGINE

La famosa intervista a Sinead O’Connor

Avvicinandosi il Santo Natale, ho pensato di vivacizzare aMargine con un po’ di festoni. Questo, per cominciare, è un mio piccolo classico personale. E siccome nei giorni scorsi sembrava che Sinead avesse deciso di farla finita, lo recupero volentieri perché mi rallegra pensare 1) che sia ancora tra noi 2) di non essere (ancora) una delle gocce che nel corso degli anni hanno fatto traboccare un vaso. Perché nonostante il mio debole per lei, tra noi due non è mai esattamente decollata. 

Sentite, so benissimo che quello che sembra ridicolo in questa intervista sono io. Ma vi prego di considerare intanto che la metà degli anni 2000 era un’epoca in cui non eravamo ancora tutti dei formidabili geni, mentre oggi grazie a twitter e facebook, siamo tutti immensamente leggendari, anche al telefono con una persona che non ti conosce e non ti vede in faccia, e non ha tutta questa voglia di parlare con te. 

(io odio, odio davvero intensamente le interviste telefoniche. Sono un piano inclinato. Non c’è – come dire – umanità. Non c’è verità) (quasi mai) (non c’è empatia) (non c’è, non c’è) (…va beh, comunque ammetto che alcune domande sono goffissime) (ma basta chiacchiere) (veniamo al tremendo uno-due rifilatomi da Sinead nel decennio scorso) 

PRIMO ATTO

Pronto, Sinead?
Sì?
Buongiorno, sono il giornalista di Rolling Stone Italia. È un piacere parlare con te, ci tenevo molto…
Grazie.
Ascolta, cominciamo con una curiosità. Hai abbracciato il credo rastafari, che impone di non tagliarsi mai i capelli. Intendi continuare a raderli a zero? 
Assolutamente sì.
Beh, peccato, stavi bene coi capelli un po’ più lunghi. 
Non mi faccio dire da un uomo come dovrei tenere i capelli.

CLIC

…Sinead? Sinead??
(silenzio)

Pronto?
Westin Hollywood Hotel, come posso aiutarla?
Buongiorno, chiamo dall’Italia… Sono un giornalista di Rolling Stone, e – sono d’accordo col manager di Sinead O’Connor, mr. Heaps. Potrebbe passarmi la sua camera, per favore?
Un secondo… Oh. Ha staccato il telefono.
Capisco. Beh, grazie.
Di niente. Buona giornata.
Buona giornata.

CLIC

SECONDO ATTO

Nel 2005, per l’uscita di Throw Down Your Arms, l’avevo intervistata per un minuto. Tanto era bastato a Sinead per mettere giù incazzata. Colpa mia, e di una domanda buffoneggiante con cui volevo rompere il ghiaccio. Il ghiaccio, me lo ruppe in testa.
Inutile richiamare l‘hotel di Los Angeles da cui mi si era concessa: l’intervista era sfumata. 

Ma il destino non lascia che queste cose finiscano così, oh, no. Il destino mi diede un’altra opportunità per parlare con una cantante che mi intrigava da sempre e il cui disco successivo, Theology, era terribilmente – come dicono quelli che sanno dire le cose – intenso.
Preparatomi psicologicamente e atleticamente, formai il numero dell’hotel di Londra pensando: nessun accenno all’episodio precedente, nessuna domanda pirlona; rispetto, ossequiosa curiosità, e solo in finale di intervista un accenno al suo più dirompente atto di fede: la foto di Wojtyla strappata in diretta tv – e qualcosa sul suo rapporto con il pontefice in carica in quel periodo, The Notorious Papa Ratzinger. 
Ecco come andò.

Hello, Sinead?
Sì?
Il tuo disco è terribilmente intenso. In tutte e due le versioni, quella acustica e quella più elaborata.
Ho deciso di pubblicare una doppia versione perché le canzoni parlano del rapporto con Dio, e un po’ come preghiere si prestano ad essere intonate in modi diversi, con differenti registri di intimità. Credo che chi le ascolterà troverà le due versioni di ogni canzone tutt’altro che simili.
Perché il titolo Theology?
Perché ho sempre desiderato scrivere un libro di teologia.
Davvero? E pensi che lo farai?
Non posso.
Ah. E come mai?
Perché non sono capace.
Oh, uhm – okay. Bene, una delle sensazioni che ho avuto ascoltando il disco è che il Dio di cui parlano queste canzoni è il Dio che tutti vorremmo. È buono, è compassionevole, ci ama e soffre… E soprattutto sa quel che fa. È facile credere in un Dio simile.
Cosa vuoi dire?
Che spesso la realtà non restituisce questa sensazione. Che qualche domandina a Dio verrebbe da farla. Insomma, è più una questione di faith che di theology.
Non sono il tipo che predica. Non mi interessa dire alla gente che dovrebbe credere in Dio. Devi credere in ciò che ritieni giusto per te. Sai cos’è un ateo? 
Beh, sì.
Io riesco sempre a convincere gli atei a pregare. E chissà, forse Dio è stanco di ascoltare altra gente. Anche se io credo con grandissima forza in Dio, ho una grande ammirazione per gli atei. Sono quelli che dimostrano più intelligenza davanti a Dio. Perché ciò che rifiutano in realtà è la versione di Dio che la religione gli ha dato.
Dici “la religione”, ma in questo periodo a causare qualche problema, al mondo, sono “le religioni”.
Io non credo che sia giusto dire alla gente di credere in Dio né in quale Dio credere, credo che tutti noi dovremmo essere noi stessi. E non ho fatto il disco per affermare la superiorità di una visione su un’altra. L’ho fatto perché volevo fare una bella cosa.
Il rapporto con Dio appare da sempre nelle tue canzoni. Risentendo oggi quelle che cantavi agli inizi…
Sono canzoni di vent’anni fa. Di una ragazza di vent’anni. Oggi ne ho quaranta.
L’età che tradizionalmente induce a fare bilanci. Tu ne hai fatti?
Non ho alcun tipo di rimpianti. Sono autenticamente fiera di me stessa.
Non sto dicendo che dovresti averne. Anzi, mi interessa sapere come hai superato certe tempeste.
Era un sacco di tempo fa. Roba successa quando avevo 22, 23 anni.
Sì, ma sai, quando ti sei fatta ordinare prete non era vent’anni fa. Quando hai detto “Sono una lesbica” e poi hai ritrattato, nemmeno; quando hai detto che avresti lasciato la musica – tutte queste cose sono di questo decennio, e… 
Credo che chi è interessato alla mia musica non sia interessato ad altre cose.
Pensavo che molti tuoi estimatori fossero interessati a capire certe tue affermazioni, che anche tu tra l’altro ti sei ritrovata a commentare in diverse interviste…
Non sono io a spiegarle, è la gente come te che continua a farmi domande in proposito.
Credo che sia comprensibile, sei nota a milioni di persone da vent’anni, e alcune…
Sì, ma non voglio essere “compresa”.
In ogni caso intendo dire semplicemente che hai sfidato molte…
Queste cose erano il passato. Mi spiace ma non mi interessa». (NdR: il tono è sempre più freddo. Il ghiaccio è rotto, e il Titanic sta affondando).
Il fatto è che penso che nelle cose che hai detto e fatto ci sia la stessa personalità che c’è nelle tue canzoni. E siccome il tuo disco è piuttosto sereno, direi quasi pacificato, volevo chiederti…
Se tu sei rimasto nel passato, io no.
Veramente volevo commentare il passato per capire il presente, per sapere cosa pensa la Sinead di oggi. Penso che ci sia gente che interessata a… 
Sì, tu lo sei – quindi è proprio così.

CLIC.

…Sinead? Sinead?

(accidenti, niente domanda su Ratzinger. Però al secondo approccio, sono durato 11 minuti. La nostra relazione non fa che migliorare. Dio m’è testimone)

2 Risposte a “La famosa intervista a Sinead O’Connor”

  1. quanto mi fa piacere sapere che anche tu sei “still a fucking liar (cit.)”.
    e che hai apprezzato Theology.
    io ho smesso di seguire le sue vicende private e mi sono concentrato sulla sua musica. spiace riconoscere che la sua vita privata ha totalmente offuscato la musica. nella sua carriera Sinead ha scritto grandi dischi (forse il migliore è Universal Mother), ha dato prova di avere una voce stratosferica (in “sean nos nua”, quello cantato a livelli altissimi) e ha anticipato tematiche scottanti (fight the real enemy!).
    ora penso sia al quarto tentativo di suicidio. non so quanto potrà andare avanti. io spero che trovi la pace su questo mondo. e che cambi produttore.

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