AMARGINE

Charlie Was

Ho cercato di resistere. Evidentemente, non ho resistito.
Il fatto è che se inizio a parlare di Charlie Watts non finisco più, è uno dei miei sedicimila argomenti preferiti, è una fortuna che nessuno mi abbia chiesto un articolo perché avrei consegnato una cinquantina di pagine – però tra due settimane, e in questo gioco non vale. Però qualche piccola cosa non resisto a tenermela solo per me. E poi ne stavo parlando con altre persone in chat, quindi ho copincollato, è stato facile.
Intanto, la prima cosa che ho fatto quando ho letto il primo tweet, è stata andare a cercare Gimme Shelter, il film, e precisamente la scena in cui uno degli Hell’s Angels, Sonny Barger, telefona a una radio per compiacersi del fatto che lui e i suoi amici bestioni hanno ammazzato un tipo durante il concerto di Altamont perché come tanti altri si è avvicinato troppo alle loro moto quindi ha avuto quel che si meritava. Difficile non farlo, del resto, visto che sciamavano in moto in mezzo alla folla. Solo lui e Mick Jagger stanno ascoltando il sig. Barger, born to be wild – il supereroe Keith Richards non si vede. Mentre il nazista americano insulta gli hippies e già che c’è anche Jagger, che ha l’aria sbalordita e si sta ancora riprendendo dallo s/concerto (ampiamente manifestato anche durante lo show) la telecamera inizia a indugiare su Watts invece che sul cantante – ne coglie il disgusto per l’idiota al telefono e tutto quello che rappresenta, ma è un disgusto sobrio, elegante, manifestato con smorfie appena percettibili, sorrisi sarcastici che vanno colti al volo, sguardi fermi e impassibili, come a rivendicare una dignità lontana migliaia di anni luce da tutto ciò. Alla fine Jagger tace, ma Charlie Watts non ha paura di inimicarsi lo scemo. “Ben fatto, Sonny”, dice con serissimo, educatissimo disprezzo.
Col mio pard Gippu Pastore cercavamo un paragone calcistico e uno cinematografico – Charlie Watts forse era Albertini, il metronomo del Milan che non rubava l’occhio e probabilmente non aveva nemmeno un tatuaggio. Fosse stato un attore invece sarebbe stato Leonard Nimoy di Star Trek, contraltare dell’impetuoso terrestre William Shatner. Charlie Watts era capitato su un pianeta rock’n’roll che non era il suo, era un Rolling Stone quasi per caso.
John Bonham era uno dei Led Zeppelin, ma senza discussioni. Keith Moon era certamente uno degli Who. Ringo Starr era in tutto e per tutto uno dei Beatles.
Charlie Watts era un signore cui piaceva il jazz, che si metteva lì e teneva il tempo, serafico e un po’ perplesso, mentre gli altri facevano rock’n’roll.
Qualunque cosa vi diranno oggi, la verità è che non era fantastico tecnicamente, e anche in studio faticava a tenere tempi insoliti – come si nota durante l’incisione di Sympathy For The Devil nel film di Godard One Plus One. In alcuni pezzi esalta il suono dei Rolling Stones, in altri lo limita – ma su questo limite Keith Richards ha campato benissimo: come diceva un competente Wattsologo, Freak Antoni, un batterista più potente o estroso lo avrebbe messo in difficoltà.
Ci sarebbero forse delle riflessioni da fare sul fatto che le band in generale, come concetto, non godano di ottima salute da anni (…tranne i Maneskin, naturalmente). D’altra parte, chi ha bisogno – per esempio – di un batterista quando puoi fare da te una base con una app del tuo telefono, o comprarla – o scaricarla da quelle che si trovano gratis? Poi quando fai due lire puoi pagarti un producer (che probabilmente la compra anche lui, ma ci mette la griffe). Ma questo si può rimandare, credo: un funerale è quasi sempre un’occasione per racconti e ricordi. Tra gli aneddoti più divertenti su Charlie Watts leggerete certamente quello in cui Jagger ubriaco va a bussare di notte alla sua stanza d’albergo sbraitando che vuole vedere il suo batterista – e Watts si alza dal letto, si fa la barba, molto probabilmente si mette anche il dopobarba, si veste in modo impeccabile, e solo allora apre la porta, abbatte Jagger con un pugno, e lo informa: “Io non sono il tuo batterista. TU sei il mio cantante”. Ovviamente è un aneddoto che Keith Richards amava raccontare – col sottinteso che con LUI non ci sarebbe riuscito.
Ma uno dei momenti per me più affascinanti è quello in cui Charlie Watts, depresso, abbondantemente superati i 40 anni, per un certo periodo a metà degli anni Ottanta col gruppo in fase instabilissima inizia a farsi di eroina fuori tempo massimo, quando forse persino Keith Richards aveva smesso. “Non so cosa mi era preso. Immagino fosse una crisi di mezza età. Durò un paio di anni. Ero diventato in assoluto un’altra persona, ed è stato spaventoso perché non avevo controllo, io non ho quel tipo di constitution” (da According to the Rolling Stones). “Sesso, droga, rock’n’roll. Ci ero dentro ma non ero io, non lo sono mai stato” (da Rolling with the Stones, di Bill Wyman). D’altra parte, quando si danza col diavolo, prima o poi qualcosa succede, presumo. Jagger lo scoprì la sera di Altamont. Charlie Watts lo scoprì un po’ dopo. Quindi tenetene conto, e cercate di stare sempre con gli angeli più seri.
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