AMARGINE

A grande richiesta: Il grande inganno della musica live e Marco Travaglio

Trovo che Marco Travaglio scriva malissimo. Non è quello che scrive, che me lo fa dire. Ma proprio il modo in cui lo scrive. Ci vedo una specie di imitazione scialba di Montanelli ma anche di Feltri (che già nasce imitatore di tromboni che lo hanno preceduto); ci vedo una prosa vecchia, eppure indicibilmente soddisfatta delle proprie piccole punturine: è facile immaginarlo mentre ghignetta contento quando scrive robe tipo

“La sinistra al plasmon di Civati”.
“Renzi & Salvini e B. Tutti e tre accomunati da un sovrano disprezzo per i cittadini, trattati come carne da cannone, o di porco”.
(e “…o da macello” non ce lo vuoi aggiungere?)
“Renzi è un peso piuma, un pelo superfluo delle cancellerie comunitarie”.
“Non siamo ancora in presenza di crisi né declino: ma è una bella spuntatina al crine di Sansone e alla fortuna di Gastone, un po’ meno bravo bravissimo e molto meno fortunatissimo in verità”.
“Per Renzi, la classica vittoria di Pirro, anzi di pirla”.
(Questo è un interessante esempio di umorismo di persone prive di senso dell’umorismo. Che comunque, ha un suo pubblico)
“Mai, nella pur ragguardevole tradizione italiota, s’era visto un così alto, trasversale e totalitario concentrato di balle. In un paese maturo, la rivolta degli elettori umiliati porterebbe a uno sciopero plenario del voto”.
(da sempre, davanti all’aggettivo “italiota”, vivo un’esperienza mistica arcaica: sento che il millenario dio degli schiaffoni chiama le mie mani e chiede loro di alzarsi in volo) (e quanto ai Paesi maturi, se don Marco vuole essere così cortese da indicarcene uno) (stranamente, la Lista dei 10 Paesi Più Maturi è una di quelle liste che persino il Guardian non compila mai, chissà perché)

Ora, ecco perché vi parlo di Travaglio.
Leggerlo, non è una grande esperienza. Incontrarlo – perlomeno per quanto mi riguarda, non lo è stato. Preciso che sto parlando di dieci anni fa, prima di Grillo e del Fatto Quotidiano, ma già ero in sua compagnia per individuare in lui una rockstar nascente, assecondando la sensazione non sbagliata di un direttore di giornale che aveva questo sesto senso. Prima di incontrarlo chiesi un parere su di lui a una mia ex fidanzata, che mi disse: “Oh, lui è un figo, io un giro ce lo farei”.
Eppure, Travaglio in televisione spacca. Io continuo a prediligere programmi che non prevedono la sua presenza – però non sono così prevenuto da negare che quando è in quel contesto, prende la scena. Sa talmente bene come muoversi su quel ring che in occasione del famoso confronto con Berlusconi (che lui chiama, non so perché, B.) gli andò sotto proprio come fanno i pugili per non prenderle, togliendogli lo spazio per lo scambio di colpi – sostanzialmente, si difese, cercando di non esporsi alle possibili legnate di un picchiatore istintivo, abituato a menare alla cieca. Buona parte del pubblico lo capì e B. quella sera si riprese un 33% insperato. Tuttavia, insisto sulla mia tesi: per quanto Travaglio offenda il piacere di leggere persino più di Scanzi, come performer ha i suoi numeri, e non mi meraviglio che la tv lo abbia reso una star.

Ora viene la parte in cui cerco di applicare tutto questo al crescente peso della performance nella musica. IMG_1421E dico proprio “nella musica”, non “nell’industria musicale”. Alludo al fatto che dopo aver superato una fase in cui “Il video uccideva la radio star”, ora probabilmente siamo in una fase in cui “Live music killed the studio star”, oppure persino “Performer killed the music artist”.

Ho uno scarso entusiasmo personale nei confronti dei concerti, non l’ho mai nascosto. Il che non mi impedisce di ammettere che nella vita ho visto parecchi concerti fantastici. Ma sono un’altra cosa, rispetto alla priorità che attribuisco alla creazione artistica cui viene data una forma più o meno stabile in uno studio di registrazione.
Nel live Miles of Aisles, Joni Mitchell, che da sempre infligge ai suoi fan la sua attività di pittrice (che prende sul serio quanto quella di musicista) (ma è la sola a farlo) racconta al pubblico che una delle fortune di chi dipinge è che una volta che Van Gogh ha dipinto un quadro, nessuno va da lui a dirgli “Ehi, abbiamo pagato il biglietto, facci Notte Stellata!”
Quando i Beatles abbandonarono i live, la conseguenza diretta fu Sgt.Pepper, il disco probabilmente più famoso e amato di sempre, eppure mai eseguito dal vivo dai suoi autori (e contenente il paradosso di un gruppo fittizio che finge di esibirsi per un pubblico fittizio, che acclama e ride per chissà cosa).
Si potrebbero prendere diversi brani di Sgt. Pepper come ottimo esempio di musica che non ha nemmeno senso, se ascoltata dal vivo: She’s leaving home, When I’m sixty four, Lucy in the sky with diamonds, A day in the life. Vuoi per lo scarso impatto sonoro, lo scarso potenziale di intrattenimento istantaneo (salvo il battere le mani tutti insieme che partirebbe con “When I get older, losing my hair”). Vuoi perché certa musica ha un valore immenso soprattutto quando è esperienza personale, intima (perché alla fine, “We live as we dream: alone”, scrisse Joseph Conrad, i cui libri non sono adatti ad essere performati da Benigni). Penso che Lennon e McCartney abbiano composto A day in the life così com’è proprio perché sapevano che non l’avrebbero mai proposta in concerto. Ma è interessante anche quello che ha detto una volta Keith Richards: “Dal vivo, Satisfaction non viene mai come dovrebbe, non so perché”. Oh, si parla del pezzo per eccellenza della live band per eccellenza, giusto? Eppure, sono d’accordo con lui: da Got live if you want it a Live licks, passano i decenni e la versione dal vivo sembra sempre più nervosina che dirompente.

La fase di strapotere del video e dell’immagine venuta con gli anni 80 è stata vista come definitiva, quando in realtà vista dal 2015 potrebbe esser stata soltanto una specie di interregno, dovuto al cambiamento di fruizione in atto in quel momento. Una musica che tentava di evocare immagini usando gli strumenti (anche in modo estremamente didascalico, come i tuoni coi timpani o le onde con l’arpa) lasciava il passo a una musica nella quale la chitarra faceva solamente la chitarra e le tastiere solamente le tastiere. Molta musica anche cervelluta si è trovata benissimo con questa semplificazione, e anche parecchi ex proggers, da David Gilmour ai Genesis. IMG_1497
E tuttavia, quello che sta succedendo ora è che Darwin non fa sconti: l’evoluzione premia la fruizione dal vivo, l’esperienza condivisa, la testimonianza che l’artista o il gruppo SONO TRA NOI e performano, parbleu! Ma questo ha come immediata conseguenza che il musicista medio scrive pensando al live. All’effetto, alla dinamica, più che al dettaglio o all’atmosfera, e persino più che al ritornello, al gancio accattivante per le radio, che tanto stanno inseguendo invece che dettando la linea (non parlo solo di quelle italiane) (o italiote). Perché è sempre più chiaro che chi fa il botto in radio lo fa una volta, raramente due volte. Ed è sempre più chiaro che se vuoi fare davvero questo mestiere, è il caso di lasciar perdere il Grande Successo dell’Estate, e costruirsi una fan base, cosa che si ottiene col passaparola, cosa che si ottiene con la performance. Cosa che si ottiene con brani che suonino gagliardi mentre migliaia di persone fanno casino e riprendono tutto con lo smartphone (quando non lo usano per il livetweeting). In pratica, è come aver dirottato il grosso degli artisti verso le installazioni, o verso opere chiassose, the bigger the better, alla Cattelan; non casualmente, questo avviene mentre al centro della produzione musicale c’è chi meglio riesce a convincere gli spettatori performando da Cattelan o da Maria.

(se vi chiamate anche voi Cattelan e volete entrare nella frase precedente con gli altri due, scrivetemi e ditemi cosa fate nella vita, un modo lo trovo)

Oh, le accetto tutte, le obiezioni sulla forma fluida della musica, sul fatto che prima che arrivasse la registrazione, cioè la replica infinita e industriale, era fruita sull’istante, dai cantastorie ai salotti alle serenate. Ma ho sempre pensato che liberarla dalla sua natura inafferrabile fosse un’evoluzione. Apparentemente, il mercato detta un’evoluzione di segno contrario: Van Gogh, alla fine, deve davvero dipingere davanti alla folla. Molto facilmente, tra gli applausi (e le polemiche) dipingerà un grosso dito medio, molto grosso, ché si deve vedere anche dalle ultime file, poi lo mettiamo sui social.

Se siete onesti (…lo siete?) (siete sicuri?) sapete quanto me che a un concerto, la musica è un fattore secondario. Non ho detto marginale, ho detto secondario: le emozioni in moto non vengono dalla composizione che state ascoltando – ma dalla sua esecuzione (oltre che dall’eventualità che Iggy Pop tiri le cuoia sul palco). Il live show ha più cose in comune con lo sport (tifo compreso) che con la musica, così come Travaglio ha più cose in comune con Salvini, che con Montanelli. Significativamente, lui che doveva essere il cantore dei fatti e non delle opinioni, si è proficuamente trasformato in opinionista. Lo ha richiesto il live show.

La seconda conseguenza, meno immediata, è probabilmente che quel tipo di musica capace di fornire un’esperienza personale indimenticabile quando ascoltata nella propria cameretta è destinata a declinare, perpetuando ulteriormente gli album dei musicisti dell’altro ieri.
Sì, vi sto dicendo che non ci libereremo mai di Wish you were here.
In compenso, all’attuale bonanza di corettoni mi aspetto si unisca un’inflazione di attacchi ad effetto, ma mi sentirei persino di scommettere su un clamoroso ritorno in auge del riff. Anche di grana grossa. Però detto fra noi la vivo come una vittoria di Pirro. Anzi, di pirla.

13 Risposte a “A grande richiesta: Il grande inganno della musica live e Marco Travaglio”

  1. però sai che qui negli Stati Uniti è così un po’ da sempre? o perlomeno dagli anni novanta? e con coerenza, il prodotto da studio costa poco, i concerti sono cari come il fuoco

    [ne consegue che la musica è dal vivo e locale finché studi poi se non ti occupi di musica per lavoro smetti di ascoltarla e vai solo ai concerti di quelli che nel frattempo sono diventati famosi e che finalmente ora che hai un lavoro ti puoi permettere].

    un concerto di un big costa $250, non ti dico i festival. o la vendi come esperienza unica, o quando la vendi mai? ed infatti poi qui i pubblici sono esigenti in un modo che se ti azzardi a fare un concerto di merda ti demoliscono di boooo anche se sei il boss

    1. Quindi già dagli anni 90, quando i social non esistevano e i cd si vendevano? Ero così contento di fare due più due. Invece niente, mai deduzioni facili.

  2. Concordo. Aggiungo solo che, secondo la mia amica Chicca che non sbaglia mai, Cattelan si, bravo, simpatico, molto televisivo, un futuro radioso. ‘Ma c’ha il culotto’

  3. io mi ricordo che venivo qui a comperare i CD negli anni novanta, ché si vendevano perché costavan un cazzo [$6/8, $11 importazione], ma i concerti eran già inavvicinabili [$140 Springsteen, $210 Billy Joel, p.e]. e mi ricordo anche taluni geni dell’imprenditoria musicale indipendente italiana [Barley Arts, soprattutto] che venivano ogni settimana in radio a lamentarsi che non si vendevan CD [21/24/27k lire – PiGi/Buscemi/Messaggerie] al grido di “la musica in studio è finita, dobbiamo fare come gli americani che fanno pagare l’esperienza live, unica ed irripetibile”.

  4. ecco, volevo rispondere al commento lì sopra, ma poi è uscito qui sotto… ed ora ti sto pasticciando tutti i commenti. cancella, fai, sposta, se credi…

  5. Concordo con la parte in cui dici che i concerti siano una cosa che ha relativamente a che fare con la musica. Nel senso che hanno molto a che fare con la musica che viene suonata al concerto, ma molto poco con quella che è stata incisa, sia questa stata creata con lo scopo di portarla su un palco o senza questo fine.

    La mia domanda per te però è: come si contestualizzano in tutto questo i concerti al cinema ( o i live album se vuoi)?

    1. Beh, i live album, direi dall’Unplugged dei Nirvana, sono praticamente estinti. Si continuano a fare per i fan irriducibili. Ma – e questa è una cosa curiosa – a tantissima gente danno fastidio, non vogliono sentire gli applausi, o versioni anomale delle canzoni. Buffo pensare a quanto vendevano una volta.
      Quanto ai concerti al cinema, sono eventi circoscritti, tipo delle convention, per fan base molto ampie. Ma nessuna fan base è abbastanza ampia da reggere la programmazione più di due giorni, mi pare.

  6. Non sono d’accordo sulla bravura di Travaglio dal vivo. Non riesco a trovare bravo un tizio che dopo avere fatto una battuta, la spiega (chiarendo soprattutto l’opinione che ha del suo pubblico).
    (Credo poi che Travaglio non piaccia a nessuno: il suo successo è più un atto dovuto, il riconoscimento diffuso per avere, alcuni anni fa, detto/scritto cose che nessuno diceva/scriveva. Stilisticamente è barocco dozzinale. Una specie di Pat Metheny del giornalismo).

    Non credo che stiamo assistendo davvero a una rinascita del live. Mi sembra più corretto il termine perfomance, o ancora meglio evento: alla fine tutto si riconduce all’universo della divulgazione rapida in rete, al meme, al tweet, al flash mob di turno. E’ un evento il concerto registrato in cantina e mandato su Sky Arte. E’ un evento la canzone parodiata con i Roots al Jimmy Fallon. E’ un evento andare ai VMA, litigare con tutti e annunciare dal palco l’uscita gratuita di un disco dedicato ai propri animaletti morti (magari scritto dai cinquantenni tossici più cool in circolazione. Recensione in due righe: il nuovo di Miley Cyrus, durasse la metà, sarebbe un disco medio/alto dei Flaming Lips).
    Perchè poi tutti ne twittano, si crea l’hype, nel frattempo l’artista attacca quattro spillette a un monitor dorato, porta l’opera alle mostre d’arte e la vende a cifre assurde.
    Insomma, l’evento live conta per il suo essere evento, e relativamente poco per il suo essere live. Sono d’accordo che la musica nei concerti dal vivo fosse secondaria. Ora credo sia diventata del tutto marginale. Conta relativamente poco l’impatto, o la capacità di creare la giusta gruvanza, e non credo ci sarà una rinascita dei riff. Pantaloni che si strappano per sbaglio, ospiti inattesi, tette che si scoprono per sbaglio alla J. Jackson o alla Patsy Kensit. Questo ci attende. Travaglio direbbe che è tutta colpa di Berlusconi.

    1. Non sono d’accordo sul tuo non essere d’accordo 😀
      In realtà non è vero, sono d’accordo con te quando sei d’accordo con me – perché nella parte in cui dici che non stiamo assistendo alla rinascita del live, non l’ho detto nemmeno io: non è una “rinascita”, i concerti non mi sembrano più belli, certo però sono al centro del business. La parte in cui sottolinei che tutto diventa “evento” è impeccabile e vorrei averla scritta io, in effetti sto pensando di rubartela mentre nessuno guarda; quanto ai riff, beh, vedremo…
      Ma tornando a Travaglio, so che è un gusto acquisito ma apprezza il ritmo e il tono di voce, che avvolgono l’ascoltatore nelle sue spire e comunicano i messaggi subliminali fondamentali: l’indignazione dell’uomo ragionevole, l’attacco al regime senza alzare la voce perché i FATTI lo cosano, l’impossibilità di contraddirlo (anche dal punto di vista pratico: le parole sono tutte legate tra loro, quindi a maggior ragione non lo si contraddice).

  7. Ciao Paolo. Ho letto con interesse il tuo post e trovo condivisibili alcuni punti. Io sono di Roma e posso dirti per certo che il live è in agonia. Parlo di live di gruppi piccoli e microscopici come il mio. Nonostante l’autoproduzione, i pezzi ragionati e composti ancora come si faceva una volta, la nostra musica è stata rifiutata dalla maggior parte dei locali jazz romani, che passano della musica suonata veramente di merda, con cantanti monocorde o stonate, gruppi sopravvalutati che fanno marchetta e suonano per un pubblico abbastanza ignorante, che pensa di conoscere la musica di nicchia come il jazz che io invece vorrei ritornasse friendly . A parte le poche eccezioni di musicisti dignitosi che sanno suonare live, i nomi altisonanti da Gatto a Biseo, ti posso garantire che suonare live per un gruppo che propone musica inedita è una impresa impossibile. La maggior parte ti chiude le porte in faccia , perche’ nei club la gente non ci va ad ascoltare cose nuove. Assisti a pietose performance di gente che si veste da carnevale e scimmiotta gli anni 40/50 senza alcun contenuto e preparazione – pero’ tira mascherarsi fa vendere entrare e bibite alcoliche – mentre se tu stai qualche tempo a comporre ti prendono anche per il culo e ti dicono che la tua musica è troppo settoriale, difficile per i gusti di quei cretini che vanno ad ascoltare il live e non vogliono pensieri, perche’ si devono divertire. Punto. La riflessione e’ una rottura di palle. Strano vero ? Una radio di Berlino ha mandato in onda i nostri brani, qualche critica buona sul web l’abbiamo avuta. Allora fatemi capire dove sta la rinascita del live? Bell’articolo e se vuoi passare ad ascoltare i nostri brani abbiamo tutto su reverbnation, una piattaforma americana.
    Ciao Paola
    https://www.reverbnation.com/napoleonirosati

    1. Beh, sì, è vero, lo davo per scontato: c’è questo piccolo particolare che il live diventa centrale, ma il piedistallo è sempre lo hype. La gente va ad ascoltare qualcosa di cui qualcuno ha parlato, che sia Rtl o Pitchfork. Noi media vi teniamo ancora in pugno, haha! 😀

  8. volevo aggiungere pensando a quell’antipatico di Travaglio che ho letto recentemente una biografia di Ivano FOssati scritta da quell’altro antipatico di Scanzi. Ne ha fatto un ritratto bello ma dallo sbrodolamento eccessivo. più volte ha dimenticato di parlare di MUSICA. Le lacune in fatto musicale si leggevano e chi è nell’ambito musicale se ne accorge se la stai imbastendo come si dice a Roma. Questi si rendono conto quando scrivono le critiche e le bio sui musicisti de che stanno a parlà? Una delle critiche più belle che ho letto in vita mia è stato sul lavoro di Carmen Mc Rae ed è apparso su Jazz.it. E si leggeva la reale competenza di chi lo scriveva. Ne ero affascinata. Ce ne vuole per sentirsi grande intenditore di musica. Vabbè magari è fuori tema sul live, ma te lo volevo comunicare.

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