AMARGINE

Che valletta sei? (ovvero: due-tre cose su Quella Roba Lì)

Quanti articoli su Sanremo deve scrivere un giornalista musicale, prima di essere chiamato opinionista? E quante battute e arguzie e analisi sociolinguistiche deve fare, prima che qualcuno gli dica: Ciccio, può bastare? E quante rievocazioni commosse di un vissuto italiano con immagini in biancoenero e ricordi di quella volta che Cavallo Pazzo e Patsy Kensit e Benigni e Springsteen e la Gialappa dovrà fare prima di essere riconosciuto come italiano vero? E quante letture contemporanee e duepuntozero sull’Evento condiviso dovrà offrire, prima che qualcuno gli dica: non mi interessa? La risposta, amici, è che Sanremo e Sanremo. La risposta, nel VANTO, è che Sanremo è Sanremo.

 

Che canzone di Sanremo sei? Fai anche tu il test!

In 15 anni non ci sono mai andato. Quest’anno ho sudato freddo, sembrava che un giornale femminile volesse mandarmi. Ma per fortuna sono a casa, tra i gatti e i pesci e gente che mi vuole bene, maldestramente ricambiata.

All’inizio mi spiaceva anche un tantino, che non mi ci mandassero.

Poi sono uscito (o sono stato buttato fuori. Non è importante) dal tunnel del giornalismo, e avendone assaggiato un po’, in festival di altro tipo (quelli in cui si suona) e altre circostanze, mi tengo lontano, atterrito, dal rischio di overdose. Perché credetemi, è come gli eccessi del rock: c’è gente che può strafarsi e, come Keith Richards, sopravvivere (a se stessa). Ci sono colleghi che sono là, tutti contenti, e che scuoteranno la testa benevoli (una minoranza) davanti a ciò che scrivo. Ma di fatto quelli come me rimarrebbero fulminati, dall’overdose di kermesse. Oppure, soprattutto, già al secondo giorno dovrebbero essere portati via con la forza perché non mi si può mettere insieme a mille giornalisti e pretendere che io non cerchi di tagliare la gola a qualcuno. Vedete, io non sono come i miei colleghi più zen o più giocosi che pensano che sia tutto divertente, e c’è posto per tutti. No, io penso che funzioni come nell’eccellente e allarmantissimo documentario L’incubo di Darwin: se nel tuo ecosistema c’è un pesce che rende l’ambiente invivibile – non perché è una carogna, ma perché è fatto così – non serve parlarci. Quello che per lui è sopravvivenza, e possibilità di pavoneggiarsi in televisione, per te e per gli altri pesci ammodo che fanno il tuo mestiere o per i lettori che cercano una qualche plausibilità nei media, è la morte. Poi, vedi tu. Ma pensa velocemente, perché come ti volti, di quelli come lui ce n’è il doppio, il triplo di prima.

Che presentatore di Sanremo sei? Fai anche tu il test!

Cionondimeno, io vorrei precisare che NON sono un Sanremosnob. Mai stato. Io lo guardo, quasi sempre (certo l’edizione Tony Renis – Simona Ventura è stata ai limiti del tollerabile). Un po’ perché Vasco nel 1983, i Duran nel 1985, Beppe Grillo nel 1989, Elio nel 1996, i Placebo nel 2001 e aggiungete voi a piacere.

Un po’ per motivi professionali.

Un po’ per gli stessi motivi che rientrano in tutti quegli articoli pieni di bonomia che condividono la micidiale, monolitica tautologia Baudiana: perché Sanremo è Sanremo. Lo guardo, e come tanti di voi, sghignazzo. Lo guardo da casa, perché è concepito per esser visto da casa, non dal microteatrino Ariston, e non certamente dalla sala stampa, dove i giornalisti vanno per mangiare e bere e twittare e farsi le selfie e accoppiarsi a spese del giornale nell’ambito della più costosa gita delle medie che questo Paese offra ai suoi ragazzotti tardivi: una perdita secca di oltre venti milioni di euro riscontrata dalla Corte dei Conti, e la balla che “la pubblicità ripaga tutto”.

Che valletta di Sanremo sei? Fai anche tu il test!

Una volta mi sono preso la briga di chiamare dei colleghi di giornali stranieri, per stabilire una volta per tutte cosa pensavano dell’ultrafamosissimo Festival di Sanremo, visto da cento miliardi di spettatori in tutto il planisfero. Francesi, inglesi e americani hanno risposto cortesemente che no, non lo conoscevano. I tedeschi hanno risposto (cliché in arrivo) che a loro arrivava una selezione di un’ora di tutte e cinque le serate, e ci rimanevano male se non c’era Eros Ramazzotti. Bulgari e rumeni hanno risposto “Sì, c’è un canale che lo trasmette. Ma perché quest’anno non ci sono i Ricchi e Poveri??? Qual è il problema?”. I greci hanno risposto “Per noi è importante, cerchiamo di mandare sempre qualcuno lì. Perché voi avete i soldi per ospitare le star, noi no: quindi se vogliamo intervistarli possiamo accreditarci lì”. Quelle star che peraltro si guardano bene dall’enfatizzare la loro presenza in uno scombiccherato show televisivo italiano. I pochi racconti che ne fanno sembrano presi di peso da Lost in translation, sono come quelle pubblicità italiane che George Clooney o Antonio Banderas fanno con la clausola: “Non mostrate MAI queste immagini in America”.

Che decennio di Sanremo sei? Fai anche tu il test!

Io, dicevo, Sanremo lo guardo. E di Sanremo in questi anni ho scritto di tutto: che non ha senso (e ci credo fermamente), che è parte inscindibile della cultura nazionale (e ci credo fermamente), che ci ha dato belle canzoni (e ci credo eccetera), che ci ha dato canzoni atroci (e non c’è bisogno che mi crediate). Ma soprattutto, credo fermamente una cosa. Che Sanremo sia sovradimensionato ad arte. E’ come un torneo tra squadre di serie C per il quale si ferma tutto il Paese. Non è il Superbowl. Nemmeno a livello musicale. Anche se lo è stato: negli anni Ottanta. Quando Pippo Baudo (non le reti di Berlusconi, il Drive In, gli eccessi della Milanodabere, blablabla) iniziò a gonfiare l’Evento a dismisura, rilanciandolo a colpi di ospiti (se c’eravate, lo sapete: venivano TUTTI).

Che comico dissacratore di Sanremo sei? Fai anche tu il test!

In un articolo per Rolling Stone ho elencato tutte le performance di classifica dei protagonisti di questo Festivàl. Quasi nessuno dei magnifici 14 è stato, nella sua carriera, al n.1 della classifica degli album o dei singoli (anche a quei 4-5 cui è capitato, è successo una volta o due) (e mai in questo decennio) (in cui pure basta vendere anche pochissimo, per andare al numero uno) (nel dettaglio, gli ultimi urrà provengono da Giusy Ferreri, 2008, e Francesco Renga, 2007) (persino Ron) (Ron!) (è uno che non ha mai visto il n.1 in hit-parade in oltre 40 anni di carriera, e con un Sanremo vinto).

“Madeddu, ma cosa ci vuoi dire con questo? In fondo Fazio ha scelto di dare una possibilità alla musica di qualità che gli italiani non sentono mai, dovremmo essergli grati”.

Not so fast, cowboy.

Che dopofestival sei? Fai anche tu il test!

Fazio, ragazzo allevato in Rai fin da quando ha avuto il diritto di voto, sa benissimo che il nazionalpopolare è quello che fa di Sanremo ciò che è. Tant’è che l’anno scorso è stato costretto a recuperarlo con l’espediente (fantasmagorico, invero) di Toto Cutugno con l’Armata Rossa. E comunque, se vi ricordate, i direttori artistici prima di lui erano stati lapidati proprio perché concedevano esposizione a gente che era discograficamente alla canna del gas. Deh, ma non è forse questo il caso dei quattordici BIG in gara? Per quanto io possa stimare o stravedere per alcuni di loro (da Frankie a The Giusy), questa è tutta gente che in classifica annaspa.
Sicché, tornando al Superbowl, l’Italia si ferma – e i suoi media sbavano – per un costosissimo torneo calcistico tra squadre di serie C.
Orbene. Se la Rai trasmettesse un torneo calcistico tra squadre di serie C in prima serata, io lo guarderei.

(sì, sono quel tipo umano lì)

Il problema è che poi, per quanto calciodipendente, se in quei giorni vedessi che i media non parlano d’altro e che le menti migliori della mia generazione inneggiano alla grandebellezza di tutto ciò, io la sensazione che qualcosa è andato completamente alla deriva ce l’avrei.

Anche voi? Ma non importa?

Okay.

2 Risposte a “Che valletta sei? (ovvero: due-tre cose su Quella Roba Lì)”

  1. La citazione di Allen Ginsberg (e dei Massimo Volume?) in finale è notevole: commentare lo zibaldone nazionalpopolare per eccellenza con una citazione colta fa di te il fallito ed invidioso per eccellenza. Poi ha voglia a dirci che il salotto di casa tua è meglio…

  2. Mi chiederei anche “Che spettatore sei?” e proverei a rispondere “un telespettatore cui interessa pochissimo porsi domande”.
    O perché non gliene frega alcunché di porsele o perché conosce perfettamente la risposta.
    E allora meglio cambiare domanda.

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