AMARGINE

Tutti i flop di Jovanotti

Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Jovanotti, non a lodarlo. Il bene che gli uomini fanno sopravvive loro; il male è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Jovanotti. I nobili recensori – tutti e novecentomila – vi hanno detto che Jovanotti è ambizioso. Se così è, è un enorme pregio. Ed enormemente Jovanotti ne ha pagato il fio. Qui, col permesso dei critici – ché i critici sono uomini d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlarvi del Jovanotti morto.
Perché a Jovanotti morire fa bene. Gli è capitato due volte.
Oh, ora è vivo, è evidente. E tutti lo plaudono, con la sola timida eccezione, mi pare, di Stefano Pistolini su Il Foglio
(ma aspetto al varco VICE, e la sua capacità di intercettare il fastidio di chi non vuol far parte della FESTA) 
tuttavia per il resto Jovanotti trionfa. Tutti sono contagiati dalla sua energia, energia, energia, concetto ripetuto ossessivamente in occasione del live sponsorizzato da Enel (gosh) e trasmesso dalla principale rete tv nazionale. Tutti, tutti, financo il nume Aldo Grasso, hanno dato variegate ed incontestabili spiegazioni del perché Jovanotti regna sulla nazione.

Ma io, che non son fatto per spassi, né per la corte di specchi amorosi, io, che sono di rozzo conio e senza maestà d’amore – perdio, io, in mezzo ai pifferi di pace non ho altro gusto per passare il tempo che spiare la sua ombra sotto il soleluna, e cantare la sua deformità. E questo per due motivi.
Uno, che in dieci giorni non sono ancora riuscito ad assorbire e giudicare i 30 pezzi di 2015 cc, e questo evidenzia la mia pochezza di fronte ai colleghi. Ho la sensazione che la musica sia eccellente e i testi, con alcune notevoli eccezioni, siano stucchevoli. Ma è una sensazione affrettata, superficiale, che mi caratterizza per ciò che sono.
L’altro motivo è che sono molto colpito dalla voglia di Jovanotti che c’è in giro. Nei media come nella gente. Risulta persino troppo facile individuarla come una diffusa voglia di pensiero positivo. Imprese e inserzionisti non chiedono di meglio. Chissà, forse è così. Facciamo mente locale.
(il nostro uomo amerebbe fare mente globale, ma per quanto si sforzi di contaminare la sua musica e di vivere a New York, da quel punto di vista non gli ha detto bene come sperato. Confermando che un italiano senza voce viene sempre fermato alla dogana)

Cominciamo dai media. In realtà del fronte compatto, dalle firme pro-establishment alle frange più indie, non mi meraviglio troppo. Jovanotti ha trovato un suo modo di offrire a tutti la sfaccettatura giusta: quella romantica e quella sperimentale, quella cantautorale e quella dance; sta bene da Fazio come da Fiorello. Dopo aver invaso i contenitori con esiti infelici ai tempi di Salvami, ha deciso di farsene invadere: le sue conferenze stampa faraoniche non hanno paragoni con nessun altro artista italiano di prima fascia: centinaia di mediapeople (non scherzo) vengono accolte e intrattenute in un grande show. Anche se quest’anno pare non si sia prodigato in regali ai giornalisti (ho ancora da qualche parte per casa delle batterie ricaricabili e un cappello e uno sgabello con scritto Capo Horn) (…che capisco le batterie) (ma lo sgabello?) tutti vanno a casa deliziati. La puntuta critica era prostrata già prima di ascoltare il disco. Penso che il singolo imbattibile Fabatofabato abbia contribuito abbondantemente, ma non va sottovalutata la capacità di Jovanotti di diversificare il prodotto. I giornali femminili si sono soffermati sui baciniperugina disseminati nei testi, gli specializzati hanno sottolineato la presenza di Manu Dibango e Bombino (fermo restando che per i più cafonisti Benny Benassi e Giuliano Sangiorgi, la porta è sempre aperta); lui si è adattato zelighianamente a copertine di riviste diversissime. Dove lo metti sta.

Ed è per questo che la lezione vera di Jovanotti io non la trovo nel successo, ma nell’insuccesso. Cherubini, a differenza di Gianni Morandi, uno su mille che ce l’ha fatta una volta, è risorto DUE volte. E forse ora ha capito cosa la gente NON vuole. Perlomeno, non da lui.

Ora. (cit.) Cadere una volta, è facile, tocca a tutti. L’Italia difficilmente tributa un successo continuato, costante ai suoi totem. Prima o poi il pubblicone volta le spalle. È nella nostra birichina natura, fare i giri di valzer. Naturalmente i veri totem possono sempre contare su uno zoccolo sufficientemente duro che ne attutisce la caduta, e gli permette di rialzarsi agevolmente. Hanno avuto un periodo di fatica Lucio Battisti, Renato Zero, Claudio Baglioni, Laura Pausini; Dio sa se lo hanno avuto Piero Pelù, Zucchero. Mi vengono in mente solo tre – tra quelli veramente, veramente grossi – che li hanno contenuti egregiamente: Eros Ramazzotti, MiticoLiga e…. Biagio….Antonacci…..
Collegare la loro persistenza al fatto che il loro prodotto e il loro personaggio non hanno mai conosciuto svolte stilistiche troppo marcate, sarebbe meschino da parte mia.
(sì, lo sarebbe)
Ma forse non è così. È semplicemente aver capito cosa NON ti verrà permesso. La zona di campo in cui giocare.

Le due cadute di Jovanotti, dicevo. Curiosamente, Cherubini si trova benone quando la sinistra sta bene. No, davvero. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, va sott’acqua per la prima volta: il ragazzone si adatta a fare da ospite fisso nel Fantastico di Baudo, ma vedendolo trasferire LA FESTA nella polverosa e controllatissima sala di papà Pippo, i più giovani gli voltano le spalle – nel contempo gli haters, guidati da Michele Serra, scatenano l’offensiva, ansiosi di seppellire lui e quell’entità un po’ confusa che abbiamo poi chiamato AnniOttanta. Ma soprattutto, seppellire LA FESTA.

Il recuperone avviene nel 1992-94 (governi Ciampi e Amato). I concetti chiave, ai quali è difficile ritenere estraneo il grande mentore Claudio Cecchetto, sono:

1) non mi annoio
2) penso positivo (aka La Grande Chiesa)
3) sei bella come il sole, a me mi fai impazzire. 

Da questo momento in poi Jovanotti ruota attorno a questi tre cardini. Quando non lo fa, batte in testa.

La fase Naomi Klein. Fino al 2001, i governi italiani sono sostanzialmente di sinistra, con Prodi e D’Alema in carica (e come sempre, un pochino di Amato). E lui diventa di sinistrissima: eccolo presentarsi capellone al concerto del Primo Maggio (quello duroepuro di quegli anni) a cantare Il mio nome è mai più; eccolo andare nel Chiapas e in Patagonia, e invocare da Sanremo: Cancella il debito. Anche se lui non pare particolarmente ispirato (il singolo File not found sparisce nel nulla, quindi anche dalla festosa raccolta Back-up) nessuno direbbe male dell’ex Gino Latino, diventato il Chatwin della musica italiana.
Ma il destino è in agguato. Nel 2001 va al governo Silvio, e questa volta sul serio. Nel 2002 esce Il quinto mondo: la gente si accorge che la FESTA è diventata un Collettivo SoleLuna, e che l’uomo che affermava Penso positivo ora invoca: Salvami. Vedete da voi la differenza. Non a caso di tutto l’album, quando verrà la mietitura antologica, verrà salvato solo uno dei tre singoli: la melassona di Ti fpoverò (mentre Date al diavolo un bimbo per cena non appare nemmeno nella raccolta deluxeipermegatempestata da 7 cd + 2 dvd). Tre anni dopo, esce Buon sangue, nel quale Jovanotti inizia a capire dove deve rifondarsi: sul ritmo. E con buona pace dello zapatismo e dell’Africa, che ha già tanti problemi, il suo ritmo è funky. Il lavoro di Michele Iorfida Canova e Stylophonic porta nelle radio (Tanto)³. Occhio, eh: i singoli coi testi più pesanti e gli arrangiamenti più pretenziosi (Un buco nella tasca, Falla girare) muoiono di anemia, ma il disco va decorosamente. Non è un trionfo: esce a maggio e sta solo una settimana al n.1, però a Natale è ancora lì rannicchiato nella top 30.

Dal 2006 al 2008, riecco un governo Prodi. Il nostro si ringalluzzisce. La barbogia malcontenta da hippie diventa una barba arguta da hipster, i vestiti occupy lasciano il posto ad abiti coloratissimi. Dopo aver chiesto alla gente di seguirlo nei suoi pellegrinaggi barbuti, eccolo tornare a seguire il pubblico, anzi i pubblici, tutti quelli che può, dando loro un impeccabile frullato di quello che si aspettano. Cherubini capisce che da lui si vuole “Una musica che pompa sangue nelle vene – e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi. E di smettere di lamentarsi”. Che le madame Bovari italiane implorano lo zuccherificio, la serenatarap ormai stabilmente diventata implacabile serenataebasta: “A te che sei, semplicemente sei sostanza dei giorni miei; a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande”.
Cosa manca? Ah, sì: la Grande Chiesa.
“Le lacrime di una mamma, le idee di uno studente”. 
Non si può essere più Jovanotti di così.

Seconda redenzione. Che si completa quando, come Matteo Renzi, promette Il più grande spettacolo dopo il big bang: è esattamente quello che il Paese vuole. E di fatto, nel megatour che lo consacra per l’ennesima volta, mantiene la sua promessa. Certo, se poi capitano dei momenti in cui la FESTA non è cosa, momenti in cui sembra tutto finito – lui è pronto ad intuire la sfiducia e farsene consolatore, ma sempre spronando, ché presto la FESTA ricomincia: come in un sabato sera italiano, che sembra tutto perduto e poi ci rialziamo. Uno che si è rialzato due (2) volte ha una certa credibilità da questo punto di vista.

Se poi davvero volete una mia opinione, io non capisco bene dove vuole che (con una certa urgenza) noi si vada – perché mai stare fermi, non si può, suvvia, muoviti muoviti. Ma quale sarebbe la direzione? (“Ho perso la direzione – cosa devo fare?”)
Lui non lo dice. Il presidente del Consiglio neppure. Ma stare fermi è brutto: energia, energia, energia. Quindi ok, tutto il Paese Jovanotto sull’astronave senza pilota. Beh, che dire. Se non altro, vedremo cose.

8 Risposte a “Tutti i flop di Jovanotti”

  1. ho saputo dell’esistenza di jovanotti non ancora cherubini quando mia figlia aveva tipo 7-8 anni, questo naturalmente non me l’ha mai fatto considerare come cantante, sarebbe come ascoltare cristina d’avena o holly e benji o geeg robot
    ma quella roba tra che guevara e madre teresa è veramente imbarazzante… da lì è entrato definitivamente nella mia lista nera: nei 32 gb dell’ipod non ho neanche una sua canzone
    tutto per dire che hai ragione

    1. Marcell_o, sei un hater! 😀
      Io invece sull’iPod ho diversi suoi pezzi. Musicalmente ha un rapporto col ritmo che pochi hanno in Italia – lo soffro tantissimo invece quando tenta di imitare DeGregori; anche alcune sue rime, sono magistrali. Ma questo voleva essere un articolino sulla sua popolarità, che non dipende strettamente da questioni musicali: c’è il fatto che Jovanotti è il capoboyscout, e lo trasmette in modo impeccabile; all’asse CheGuevara/MadreTeresa, in particolare, io sono sicuro che lui ci crede davvero, come milioni di italiani: è il suo cattocomunismo che fa vibrare corde profonde in chiunque sia cresciuto in questo Paese.

  2. ECCEZIONALE. Trovo questo Lorenzo2015CC eccezionale.
    La scrittura è precisa, profonda, perfetta. La sofferta tendenza a voler vedere il mondo bello è finalmente un messaggio destinato a tutte le generazioni. Bimbi, come i miei figli allo stadio, ragazzi, come i miei nipoti sul web, adulti come me che sul piacevole suono di tutte le melodie dell’album riescono a “muovere” un pensiero. Quello si che si muove. E quella forse è la direzione. Questa critica cerca qualcosa per attaccarlo, perché discostarsi vuol dire essere fuori dal coro. Che noia, che piattume. Se una cosa piace a tutti (o a molti) non è detto che sia bella. Ma non è neanche detto che sia brutta. E parlarne così è un evidente tentativo di catturare l’attenzione. Di chi poi? 30 canzoni: una ti piace di più, l’altra di meno. Ma questa dissertazione qualunquista non fa che convincermi anche sui brani che mi piacevano meno.

    1. “Parlarne così è un evidente tentativo di catturare l’attenzione. Di chi poi?”
      Beh, a quanto pare la tua, Marco. E non la butto via: ciao e grazie per il tuo parere.

    1. Sono mortificato, Linda. Vediamo se ti diverto con questa: un uomo entra in un bar e dice al barista “Whisky doppio: ho avuto un altro scontro con la moglie”. “E come è andata a finire?” “E’ venuta da me in ginocchio”. “Ah, però. E cosa diceva?” “Vieni fuori da sotto il letto, vigliacco!”

  3. Gli è che musicalmente dà la paga a molti ed è il mago del ritornello accattivante, cosa che lo accomuna a un altro peso massimo della musica italiana, ossia Vasco Rossi.
    Sostanzialmente, e dall’alto/basso del mio snobismo mi costa moltissimo ammetterlo, in mezzo alla sua innegabile paraculaggine e capacità di fiutare l’aria che tira, le rinascite se le è conquistate anche per meriti musicali.

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