AMARGINE

Gli Eagles. Aberranti, ma interessanti

“Nessuno di noi era californiano”. (Glenn Frey)

Gli Eagles sono un gruppo molto amato da chi “non sa di musica” e molto deprecato da chi “ne sa”. Gli Eagles, specialmente nelle persone dello scomparso Glenn Frey e del batterista-cantante Don Henley, erano dei giovani piuttosto deplorevoli. Gli Eagles sono stati una band sostanzialmente disinteressata al sociale, e interessatissima ai soldi, alla cocaina e al sesso con le fan, preferibilmente minorenni, “la vita nella corsia di sorpasso”. Gli Eagles sono stati un gruppo di enorme, esagerato successo, uno dei pilastri di una certa idea di America – negli anni 70 la quintessenza dell’America forse quanto i Queen sono la quintessenza di Gran Bretagna. La loro raccolta di successi del 1975 (PRIMA di Hotel California) a quasi 20 milioni di copie vendute, è al quarto posto dei dischi più venduti di sempre negli Stati Uniti dietro a Thriller, Led Zeppelin IV e The dark side of the moon.

“La prima celebrità che vidi a Los Angeles fu David Crosby. Portava il cappello che indossa sul secondo disco dei Byrds e una mantellina di pelle. Pensai: “Mio Dio è David Crosby!” Lo presi come un buon auspicio”. (Glenn Frey)

Gli Eagles hanno inciso almeno una dozzina di brani-archetipo, che si potrebbero definire impeccabili. Gli Eagles sono i sacerdoti del Si minore più invasivo e studiatamente malinconico della radiofonia mondiale. Gli Eagles sono stati gli emblemi del passaggio dalla Woodstock Nation a un rock che per arrivare al successo usava deliberatamente certe sonorità dei fratelli maggiori (la patriottica morbidezza del country, le armonie vocali – Mamas & Papas o Crosby, Stills & Nash). Con la regia di David Geffen, il rock californiano fu un business vero, un mondo adulto molto diverso da quello in cui Beatles e Rolling Stones scoprivano di esser senza una lira. A Los Angeles con la musica si potevano fare barche di soldi, negli anni 70: montagne di soldi – oppure venire schiacciati e completamente distrutti come essere umani, ma valeva la pena tentare, anche se questo significava passare dal California Dreamin’ all’incubo dell’Hotel California.

Gli Eagles sono decisamente un caso interessante.

“L’idea era di fare le cose al meglio. Dovevamo essere belli, bravi a scrivere, perfetti a suonare. Volevamo il massimo. Il rispetto di tutti. Successo nelle radio. Singoli e album al numero uno, grande musica e un sacco di soldi”. (Glenn Frey)

“Gli Eagles non avrebbero fallito. Era un gruppo messo in piedi con intenzioni precise”. (David Geffen)

Gli Eagles erano un mostro a più teste, ma quelle che contavano di più sono sempre state quelle di Glenn Frey, di Detroit, e Don Henley, texano. Glenn Frey aveva un imprinting più rock, ma sapeva che in quegli anni per farcela nella musica bisognava avere base nella Los Angeles del “mellow” e del Laurel Canyon. La maggior parte dei brani celeberrimi degli Eagles è cantata da Don Henley, lievemente più riflessivo e tormentato del compare. Ma a colpire il bersaglio grosso per primo fu Frey, con una canzone cruciale. Un inno.

“Venivamo dagli anni 60 – il Vietnam, Kennedy, le battaglie per i diritti civili, il senso di incertezza. Poi arrivò il Watergate. Il Paese e specialmente i giovani avevano bisogno di sentirsi dire che tutto era okay. Questo decretò il successo di Take it easy” (Bernie Leadon)

“Girl… Lord… Ford. Ovvero, donne, auto e redenzione in un’unica frase!” (Jackson Browne)

Frey fu il rocker degli Eagles, usando la parola “rocker” puramente in senso tecnico: lui era il “rock” nel fortunato connubio “country-rock”; lui insistette per fare il primo disco con uno scettico Glyn Johns, che aveva lavorato con Rolling Stones, Led Zeppelin, The Who; gli altri componenti erano più orientati verso il country o quanto meno il sound americano di quel periodo. Tutto sommato anche il suo amico batterista, Don Henley – anche se, come Frey, era molto attento a cogliere le potenzialità del mellow songwriting del loro complice e ispiratore, Jackson Browne.

“Fu Glenn a scoprire che Don Henley cantava bene. Iniziò a riferirsi a lui come “La mia arma segreta”. (Linda Ronstadt)

“Glenn era innamorato dell’analogia tra gruppi rock e gang di fuorilegge. Questa era l’idea dietro a Desperado”. (Bernie Leadon)

“Ero seduto su una Corvette a fianco di uno spacciatore che mi stava portando a una partita di poker. Andava a 90 miglia l’ora. Io gli faccio ‘Hey man!’ Lui sorride e mi risponde ‘Life in the fast lane!’ Io pensai: ‘Questo sì, è un buon titolo'”. (Glenn Frey)

Quando gli Eagles incidono Hotel California, pochissimi anni dopo Take it easy, sono già in una guerra a colpi di carte bollate, spalleggiati dal machiavellico Irving Azoff, contro il machiavellico Geffen, col quale avevano pianificato la conquista del mondo in una sauna (…c’è un luogo più simbolicamente edonistico?). Su un riff di Don Felder, Henley fa trapelare una repulsione crescente per l’ambiente musicale, per il sogno del rock’n’roll che comincia a considerare tradito. Doveva essere un ambientino, Los Angeles negli anni 70.

“Quel posto fa schifo, mi stava distruggendo. Dovrebbero raderla al suolo”. (David Bowie, 1978)

E un po’ di repulsione iniziava a farsi strada anche tra un componente e l’altro del gruppo.

“Don Henley un giorno disse: abbiamo creato un mostro che ci ha divorati” (Glenn Frey)

Con grande fatica, ma con la prospettiva di guadagni spettacolari, la band tornò in studio parecchio tempo dopo Hotel California, per The long run. Per capire il clima, la registrazione di un concerto (benefico) del 1980 coglie Frey e Don Felder a promettersi una resa dei conti. 

Frey – Sei un vero professionista, Don, davvero.
Felder – Oh, ma anche tu, il modo in cui tratti la gente. Tanto, a nessuno fotte un cazzo, esclusi quelli che paghi. 
Frey – Vaffanculo. Sono sette anni che ti pago, bastardo. Ancora tre canzoni, stronzo.
Felder – Appena scendiamo dal palco ti rompo il culo. Ti ammazzo.
Frey – Non vedo l’ora. Non vedo l’ora.

Gli Eagles si sciolsero. Frey ebbe due hit veramente grosse. The heat is on (Beverly Hills Cop) e You belong to the city (Miami Vice). Anche Henley ebbe due hit veramente grosse. Dirty laundry e The boys of summer.

Ma a un certo punto le loro carriere soliste iniziarono ad affondare. Per la felicità di milioni di persone che volevano prenderla easy, gli Eagles si riformarono per un tour. A una condizione: Frey e Henley non avrebbero diviso in parti uguali. Loro avrebbero preso molti più soldi. Gli altri dissero che andava bene.

Però poi si sciolsero di nuovo.

Però poi si riformarono. La verità è che l’Hotel California non chiude mai. Perché il Classic Rock prescinde da quello che c’è dietro veramente. E’ quello che ci si vuole vedere. Chi lo sa, forse il rock venuto in anni più vicini a noi è collassato perché si è capito che non c’era più nulla, dietro, per delle fantasticherie: nemmeno qualche armoniosa bugia.

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