AMARGINE

48 ore

Non ho fatto a tempo a pensare qualcosa degli U2, che già tutti avevano pensato qualcosa di più grande, di più veloce, di più pensoso, di più vezzoso. Io sul momento sono a malapena riuscito a twittare che mi faceva strano che la rockband che è stata al centro del mondo per un bel po’, almeno quindici anni (che è più di qualunque altra band), diventasse il gruppo di supporto per un telefonino e un orologio.

(e dire che quando li ho visti io, erano i Pearl Jam a fare da supporto a loro)

Poche ore dopo l’arrivo del disco nella cartella di chi possiede iTunes, c’erano già opinioni vigorose.

Ripeto: poche ore dopo.

Io non sono così veloce né ad ascoltare i dischi, né a scrivere. Devo fare i conti con questa cosa. Diciamo che ho fatto bene a scrivere quello che pensavo degli U2 un anno fa, su questo blog, quando là fuori non c’era l’hashtag che infuriava.

(forse sto rifuggendo dalla competizione per la vita, quella che sancisce darwinianamente la sopravvivenza del più attuale)

Sta di fatto che dopo 48 ore, non c’è già più molto da aggiungere sull’argomento U2/iTunes. Giace lì, già spolpato come la carcassa di un capibara. Ed è questa, l’unica cosa che penso.

No, non è vero. Ce n’è un’altra.

Ed è: “Chissà com’è il disco”.

Francesco Farabegoli, Bastonate:

Sento necessario dare il mio parere sugli U2. Gli U2 mi fanno VOMITARE, in grassetto corsivo maiuscolo. Di tutti i miei nemici è il più pericoloso è il primo della lista. Non li odio per la loro musica, cioè, sono assolutamente convinto che abbiano fatto dischi bellissimi di un genere di musica che a me non interessa, e questo è più o meno quanto. Non li odio nemmeno per quello che rappresentano, per il fatto che hanno passato la carriera a pestare delle bucce di banana e neanche per quanto è fastidiosa la figura pubblica di Bono Vox, e mentre dico che “non odio gli U2 per la figura pubblica di Bono Vox” sento l’autocontrollo che mi scivola lentamente via, ma è la verità. Odio gli U2 de merda per QUEL SUONO. Quel modo squillante sgarzolino ed equosolidale in cui le chitarre e la voce s’incrociano le une con l’altra e fanno PIRIPIRIPIRIPIRIPIRI tutti assieme e la dimensione di merda in cui vivono, il ROCK puro, il rock democristiano e sociale e di tutti che passa in radio ad ogni ora del giorno e della notte perché vuoi mettere la poesia racchiusa in One. Ci sono altri gruppi che mi stanno sulle palle per lo stesso motivo, tipo i Cure.
Ma il malessere che provo nei confronti dei Cure non è paragonabile con quello che provo per gli U2. La loro musica che passa casualmente in radio o nei posti o nelle playlist delle persone che non capiscono un cazzo di musica, perché l’unica cosa che posso dire di uno che mette gli U2 in una qualsiasi playlist è che non capisce un cazzo di musica, e so che probabilmente è falso e che i dischi degli U2 contengono tante gemme nascoste ma il fetore di quella chitarrina squillante di merda, e torno al punto, mi ottunde la mente, mi distrugge il karma

Virginia W. Ricci, Vice

L’album nuovo degli U2 è COMPARSO NELLA MIA LIBRERIA SENZA CHE FACESSI NULLA. Chi condivide con me l’orrore nei confronti di questo gruppo e della voce rantolante e petulante di Bono sempre sottolineata da schitarrate galoppanti che tanto ricordano deiezioni violente, può capire quanto il mio cuore sia sobbalzato freneticamente per circa due minuti pensando che in qualche masochistico atto di sonnambulismo io avessi mai potuto alzarmi dal letto accendere il computer e comprare deliberatamente l’album della forse peggiore, a mio avviso, band di tutti i tempi.
Non che la cosa mi faccia incazzare di meno ora che mi rendo conto che non è stato il mio Es a portare a me questo album, ma la suddetta operazione commerciale. Anzi, forse la cosa mi pesa di più anche perché, a ben vedere, si tratta di un’operazione commerciale mascherata da atto di immensa generosità, cosa che non mi stupisce affatto, dal momento che la matrice sono gli U2, amici dei Papi e di qualsiasi associazione umanitaria, miliardari sempre in giro per il mondo ad accarezzare bambini poveri, oltre ad essere gli esempi viventi di come basta mettere una chitarra elettrica e gli occhiali da sole addosso alle persone sbagliate per farli diventare i simboli meno rock e più demagogici della storia, e le cause efficienti di ogni Povia di questa generazione.

Damir Ivic, Redbull

Se non ti piace che gli U2 ti compaiano nella tua libreria di iTunes hai solo una cosa da fare: prendere il disco, spostarlo nella cartella del cestino, premere “svuota”. Ci metti dieci secondi, sai che fatica, è pure meno fastidioso che dover inseguire col cursore la “X” attraverso cui spegnere gli onnipresenti pop up pubblicitari sui siti. Se non ti piace che iTunes ti regali cose, entrando nel tuo spazio privato (la tua libreria!), disinstalla iTunes. Punto. Ma sicuro che questo ti migliori la vita? Sicuro sicuro?

Pop Topoi @PopTopoi · Sep 9

Dannazione, leggo che c’è Lykke Li nell’album degli U2. Toccherà ascoltarlo.

Gianni Sibilla, Rockol

Prima premessa: parlare male degli U2 è come sparare sulla Croce Rossa, è una sorta di sport in cui siamo bravi tutti.
Seconda premessa: il modo in cui è arrivato “Songs of innoncence” ha, se possibile, peggiorato le cose. La grandeur di Bono & Co è uno dei motivi per cui gli U2 sono diventati la band che tutti amano odiare. Non è una questione solo musicale.
Al netto di tutto questo, fatevene una ragione, “Songs of innocence” è un buon album. Non è clamoroso, non è un capolavoro – i tempi di “The Joshua Tree”, di “The unforgettable fire” sono storia, se non preistoria. Ma questo disco fa il suo dovere. Poi, certo: se vi fanno cagare gli U2, continueranno. Non vi faranno cambiare idea, anzi – il modo in cui vi è arrivato questo disco vi farà incazzare ancora di più.

Francesco Farabegoli, Bastonate

Davvero, non c’è nessun altro motivo per cui odio gli U2, non sono andato particolarmente in profondità nella loro discografia, non penso che si siano persi a un certo punto o che siano diventati delle macchiette eccetera, mi stanno semplicemente sul cazzo, fanno musica SBAGLIATA e possono prosperare solo in un mercato musicale SBAGLIATO, quello dei concertoni con centomila persone che pagano duecento euro a testa e il palco con I VISUAL e i carri armati che spuntano da dietro a puntualizzare la loro visione politica che non discuto ma è veicolata da quelle CHITARRINE DEL CAZZO. Ecco. So benissimo di non vestire i panni del critico in questa sede, di essere una persona antipatica che sputa su un gruppo che ha significato tanto per molti e che probabilmente ho speso soldi in cose peggiori, tipo Shootyz Groove, ma NON CE LA FACCIO. Sto perdendo il filo ed è tutta colpa di quei gorgheggi di merda.

Rob Mitchum, Pitchfork (voto: il solito 4,6)

Where Beyoncé used her iTunes sneak attack late last year to make a bold pop proclamation of sexuality and feminism, U2 have used an even more audacious release platform to wave their arms and simply say, “Hey! Everybody! We’re still here!” Songs of Innocence continues a decade-long trend of U2 showing little interest in re-examining themselves as a band or as pop stars, the approach that sustained them artistically throughout the ’90s. Despite jettisoning their Eno/Lanois/Lillywhite comfort zone in favor of Danger Mouse, Paul Epworth, and a host of other moderately intriguing producers, Songs of Innocence is perhaps the album where U2 most self-consciously plays itself—or more distressingly, risk causing a temporal paradox by swiping moves from mantle-carriers Arcade Fire and Coldplay, akin to time traveling to the future and sleeping with your own grandchild. Only “Sleep Like a Baby Tonight” manages to feel fresh from start to finish, with burbling synths and pillowy strings occasionally disrupted by the Edge at his fuzziest-sounding. Elsewhere, there seems to be barely any resistance to the gravity of doing what a U2 song is supposed to do and little else.

Virginia W. Ricci, Vice

Giusto ieri sera mi hanno consigliato di guardarmi il TED talk di Amanda Palmer, intitolato The Art Of Asking, in cui la ex cantante dei Dresden Dolls racconta di come sia riuscita a smarcarsi dalle major e lasciare che i suoi fan desiderassero riempirla letteralmente di soldi, semplicemente mettendosi in gioco personalmente e chiedendo loro un aiuto per la sua musica. Ora vi consiglio di guardarvela e di fare con me il calcolo di quanto questa concezione sia diametralmente opposta all’atto di apparente generosità, ma concreta invadenza, dell’operazione commerciale degli U2.

Francesco Farabegoli, Bastonate

Odio gli U2 per via di quei suoni sgarzolini di merda, non ho mai aspettato con religioso silenzio il keynote di Apple; non potrebbe fregarmene di meno di quanto questa mossa farà calare o crescere i fatturati di questa gente. E a conti fatti l’esistenza di un nuovo disco degli U2 finirà per permeare la mia vita in modi molto più sgradevoli di come farebbe stando nella mia playlist di iTunes. Alla radio, per dire, mentre faccio la spesa al supermercato e partono quei PIRIPIRIPIRIPIRIPIRI a zanzara suonati dall’impianto, e qualsiasi altra situazione di ascolto coatto su cui non ho alcun controllo. Gli U2 non basta non ascoltarli.
Il punto è che se al posto di un disco di merda ci fosse stato un Unforgettable Fire, non sarebbe cambiato niente. Nemmeno se al posto degli U2 ci fossero stati i gruppi accanto a cui andranno a finire nell’iPod senza che io voglia (Tussle e Volcano Suns). E nemmeno se al posto di un dispositivo Apple il disco fosse stato messo in streaming su google o Facebook: si tratta comunque di pensiero unico, di nessuna possibilità di organizzare il dissenso, e del fatto che la questione di cui parliamo sia così poco importante che non varrà la pena mettersi di traverso. Non vale mai la pena. Vai avanti trent’anni a non porti il problema e ti trovi in un mondo in cui il gruppo più famoso sono gli U2. Bella merda.

Damir Ivic, Redbull

Un’altra spiegazione, molto meno nobile, è l’odio/antipatia che gli U2 raccolgono. Anzi, più che spiegazione meno nobile è una spiegazione contraddittoria, visto che spesso i detrattori della faccenda mettono in campo entrambe le argomentazioni (invasione della privacy / U2 gruppo ormai insopportabile): ma allora, se fossero stati Mark Lanegan o Forest Swords o gruppo-a-piacere-che-ti-piace a regalarti un disco in libreria andava bene? Allora non era invasione della privacy? Niente due pesi due misure, per favore.
Ma forse anche: niente vittimismi. E’ vero: non è simpatico che la Apple possa entrare ed uscire dal nostro spazio personale (in questo caso, la libreria di iTunes) senza chiedere il permesso, usandoci come numeri e non come interlocutori. Ma come lo fa Apple, lo fanno tutti. Lo fanno anche i siti di musica&cultura un sacco alternativa, che per accaparrarsi inserzionisti vendono i dati su di noi, noi loro lettori. Lo fa chiunque ti offra un servizio gratuito, di base. Lo fa anche la stragrande maggioranza di quelli che ti offrono servizi a pagamento.
Perché prendersela con Apple, allora? E con gli U2? Si sono limitati ad adeguarsi all’andazzo generale, per giunta facendoci un regalo. Un regalo non richiesto? Vero, per molti è tale. La nostra privacy, i nostri comportamenti d’acquisto in primis, l’abbiamo già venduta in cambio di un sacco di cose, di un sacco di comodità, o anche solo del piacere di essere in contatto facile con amici e conoscenti. O almeno: abbiamo venduto una parte di essa. Dobbiamo solo capire fino a che punto siamo disposti a cedere, vigilandoci sopra. Ma gridare allo scandalo perché gli U2 ti hanno regalato un disco (o te l’ha regalato Apple, a seconda dei punti di vista) è inutile e fuori luogo. O meglio, puoi farlo: ma allora rinunci a Facebook, a Twitter, ai viaggi prenotati su Booking.com o Expedia, a Pitchfork, ai meglio siti alternativi, alle feste a gratis dove è lo sponsor ad offrire da bere in cambio dell’iscrizione ad un form, e via così all’infinito.

Emiliano Colasanti, GQ

Per certi versi è da ammirare l’impegno con cui hanno smesso di essere la più grande, la più importante, e per alcuni anni anche la migliore band di stadium rock della storia della musica, per diventare la rappresentazione in terra del Male. Il gruppo che tutti amano odiare. Un bersaglio mobile che con una mano raccoglie gli insulti e con l’altra i milioni. Perché poi, alla fine, ai loro concerti ci vanno ancora tutti, dei loro dischi ne parlano tutti e nonostante la loro carriera recente sia priva di grandi canzoni, riescono comunque a risultare rilevanti. Anche se per le ragioni sbagliate.
Bisogna vergognarsi, quindi, di ascoltare o avere ascoltato gli U2? No, col cazzo. Non scherziamo.
Non può un evidente e inesorabile declino contaminare una discografia piena di momenti altissimi e spesso cruciali anche per il tessuto culturale e sociale che faceva da sfondo.
Possono piacere o non piacere, si possono odiare oggi come si potevano odiare anche quando erano bravi, ma è da pazzi sconsiderati non ammettere la loro importanza e la loro centralità nelle faccende musicali di almeno due decenni.
Sono il nemico? Bene. È vero. Sono il nemico. Ma sono un nemico che ogni tanto ha anche vinto e vinto bene. Un nemico a cui bisogna almeno concedere l’onore delle armi. I più grandi figli di puttana del pianeta terra, gli Expendables della musica.
Ed è un complimento. Giuro.

Gianni Sibilla, Wired

“Una parte del dna di questa band è sempre stato il desiderio di fare arrivare la nostra musica a più gente possibile”, ha scrittoBono in una lettera su u2.com. “È così eccitante. Gente che non ci ha mai ascoltato, o che non mai stata neanche remotamente interessata a noi, potrebbe ascoltare la nostra musica per la prima volta solo perché siamo nella loro libreria musicale”.
Gli U2, con Songs of Innocence, hanno estremizzato la logica degli ultimi anni: l’album è visibilità, serve soprattutto come una scusa di marketing e per andare in tour, non per guadagnaredirettamente dalle vendite. Non che l’abbiano davvero regalato:Apple ha pagato profumatamente l’esclusiva (anche se nessuna cifra è stata rivelata), trasformando così il disco in un gigantescobranded content. Una mossa geniale, quella di monetizzare la visibilità, levandosi anche dall’impaccio di dover eventualmente giustificare dati di vendita non da U2. È il primo vero colpo da maestro del nuovo manager della band, Guy Oseary. È il manager storico di Madonna, e con questo progetto ha unito magistralmente la sua esperienza con quella del quinto U2 Paul McGuinness, l’ex manager, quello che ha fatto la fortuna industriale della band. Songs of Innocence è pure un buon disco, a un primo ascolto: cita i Ramones, i Clash, vuole raccontare che la band è tornata alle proprie fonti di ispirazione.
È un punto di non ritorno per la musica digitale? È un modello ripetibile? No, è una mossa che solo dei dinosauri (sia per ingombro che per storia) come gli U2 si possono permettere. Così come i Radiohead si sono potuti permettere In Rainbows per la loro credibilità e Beyoncé si è potuta permettere la sua sopresa per la sua fama.
Gli U2 sono una delle più grandi rock band di tutti i tempi. Anzi, erano: la percezione generale del gruppo è che non azzecchino un album da anni. L’operazione di questo disco è ambivalente, paracula come solo gli U2 sanno essere. Da un lato puntano tutta l’innovazione sul marketing, sulla distribuzione. Dall’altro, quello musicale, si presentano con una copertina da vinile “white label”, con citazioni di Joey Ramone, dei Clash, con un lungo scritto di Bono che racconta il ritorno alle fonti della band. Cantano della propria madre, di Dublino, ringraziano tutti.

Emiliano Colasanti, GQ

La sensazione è che più di un disco si tratti di un riposizionamento di brand, l’atto finale di un’azienda in crisi, tant’è che c’è qualcosa di malsano e perverso nel vederlo associato ad iTunes, un altro sistema che da anni sembra fare fatica a ritrovare la sua dimensione nel mondo.
Non si riesce a scorgere neanche un brivido di autenticità dietro queste canzoni così assurdamente sovraprodotte, al punto di risultare pura plastica. Lo svago di attempati miliardari in crisi di mezza età permanente, Umberto Smaila e Jerry Calà che suonano Maracaibo al Billionaire, Renzi che si mangia il gelato di Grom davanti alle telecamere. Tutto finto. Tutto posticcio. Tutto inutile.
La scelta – tocca dirlo – geniale di farlo uscire in questo modo, di regalarlo, di infilarlo a forza nei computer di tutti parla chiaro: gli U2, una volta di più, si rivolgono all’ascolto debole, s’impongono nelle orecchie delle persone che non scelgono ma subiscono tutto quello che il mercato gli impone. Quelli che non hanno curiosità, voglia e tempo da perdere dietro la musica, quelli che è già tanto se ascoltano un disco all’anno, e che sono il target perfetto per le operazioni di questo tipo.
In un colpo solo sono riusciti a scongiurare il rischio di un flop – come, dal punto di vista delle vendite, era stato il precedente – e chiarire a tutti, ancora una volta, come il business, per loro, sia decisamente più importante della musica.

Luca De Gennaro, Mancanoglispazi

Se è gratis, se non è “The long awaited new album” (come dicono le riviste inglesi) ma viene dato via come i campioncini in profumeria, la percezione del valore dell’opera ne risente non poco. Eppure, nell’intervista data a Rolling Stone, Bono ha sottolineato i due anni di lavoro con 4 produttori di primo piano, la canzone scritta per la madre e tutto ciò che si dice di un parto artistico importante. Ma con ieri sera finisce il CD come oggetto che ha un prezzo. Se addirittura il nuovo album degli U2 non costa niente, perchè devo pagare per averne uno di qualcun altro sicuramente meno famoso?

Gianni Sibilla, scendendo dal Monte Sinai

Gli U2 hanno provato ad alzare l’asticella ancora una volta, ma è quella del metodo, non quella del contenuto musicale: in questo sono assolutamente contemporanei.

5 Risposte a “48 ore”

  1. ci credi? l’ho scaricato sul macbook il primo giorno… e non l’ho ancora ascoltato… non mi era mai successo prima di avere un disco nuovo udduico e non aver voglia di ascoltarlo…

  2. Tutto ciò confonde terribilmente le idee. La valanga di critiche negative potrebbe rilanciare la credibilità degli U2, perché a un certo punto bisognerà anche ammettere che hanno fatto un sacco di roba buona.

  3. “Where Beyoncé used her iTunes sneak attack late last year to make a bold pop proclamation of sexuality and feminism, U2 have used an even more audacious release platform to wave their arms and simply say, “Hey! Everybody! We’re still here!””
    Il cazzaro di Pitchfork è persino riuscito a farmeli diventare simpatici…

  4. Condivido fermamente il tuo pensiero :D.

    p.s. complimenti per il blog, l’ho visto solo ora ( saranno vent’anni che l’hai aperto, o no ? )

    Thumbs up

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